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La laicità al tempo di Francesco e Sadiq Khan

Quante "laicità" esistono? E chi ha il diritto di stabilire quale sia quella "giusta" e quale invece quella sbagliata? Fin dove può spingersi un cattolico nel difendere le proprie convinzioni contro le leggi di uno Stato? Dopo aver esorcizzato l'Illuminismo, facendolo diventare paradossalmente figlio "ribelle" del Cristianesimo, la gerarchia cattolica introduce nel lessico mediatico un nuovo significato di "laicista", ridotto ad epiteto spregiativo

laico

Il 25 marzo 2016, papa Francesco ha inserito nella preghiera pronunciata alla fine della Via Crucis queste parole: «O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato». La condanna della paganità laicista, che alimenterebbe l’opinione di chi ritiene illegittima l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, viene collocata tra la denuncia degli orrori del terrorismo di origine islamica  e l’indignazione per il traffico di armi.

Il 16 maggio 2016, in un’intervista concessa al quotidiano francese La Croix, il Pontefice ha così risposto ad una domanda su come i cattolici debbano difendere le loro convinzioni di fronte a leggi quali quella sull’eutanasia o sulle unioni civili: «Spetta al Parlamento discutere, argomentare, spiegare, dare le ragioni. È così che una società cresce. Tuttavia, una volta che una legge è stata approvata, lo Stato deve anche rispettare le coscienze. Il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana. Lo Stato deve anche prendere in considerazione le critiche. Questa sarebbe una vera e propria forma di laicità. Non si possono accantonare gli argomenti proposti dai cattolici dicendo semplicemente che “parlano come un prete”. No, essi si fondano su quel tipo di pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato».

Il 7 maggio 2016, il neo sindaco di Londra, Sadiq Khan – musulmano praticante e, nel contempo, aperto ai diritti dei gay, tanto da aver votato da parlamentare a favore della legge sui matrimoni fra persone dello stesso sesso, ricevendo diverse minacce di morte – ha scelto di giurare in una cattedrale anglicana, a Southwark, dichiarando: «Voglio mettere insieme l’amministrazione più trasparente, accessibile e impegnata nella storia della città, voglio rappresentare ogni comunità e ogni singola parte di Londra, voglio essere il sindaco di tutti i londinesi». Durante la campagna elettorale, il 23 febbraio 2016, alla domanda di Ernesto Franceschini di Repubblica sul significato della sua identità di musulmano, Sadiq Khan aveva risposto: «Significa pregare, digiunare durante il Ramadan, mangiare cibo halal. Ma la mia identità ha più facce: sono musulmano, britannico, europeo, laburista, avvocato, padre. Ho amici di tutte le religioni e amo Londra perché le rispetta tutte. Mi si spezza il cuore, quando sento che Trump vuole cacciare i musulmani».

MODI DIVERSI DI INTENDERE LA LAICITÀ

Come si può notare, papa Francesco e il sindaco Sadiq Khan hanno un modo diverso di intendere la laicità. Il primo ha un’idea sospettosa e distorta della laicità anche di chi, magari credente, ritiene opportuno rimuovere il crocifisso dagli spazi pubblici oppure anche di chi non ritiene eticamente plausibile l’obiezione di coscienza alla legge sulle unioni civili, da parte di un pubblico ufficiale. L’altro sente la laicità come espressione di un’identità multiforme dell’individuo e della comunità e come capacità di chi rappresenta le istituzioni pubbliche di farsi carico delle istanze di chi ha opinioni diverse dalle proprie. E ancora: il papa non riconosce la pari dignità etica dell’approccio laico; il sindaco di Londra ama, invece, la sua città proprio perché rispetta le diverse culture e credenze. Sia l’uno che l’altro esprimono istanze che vanno oltre il tema classico della separazione tra “pubblico” e “privato” che ha caratterizzato il contesto storico e culturale in cui si è andata definendo l’idea di laicità nei Paesi occidentali.

«Il rilievo dato dalle carte costituzionali alla libertà religiosa e di pensiero mostra che il principio di laicità, frutto di una lunga storia politica non sempre pacifica, è ormai incorporato negli assetti istituzionali fondamentali» (C. Mancina 2009). Ma oggi tale principio viene di nuovo messo in questione in presenza di quattro novità rilevanti: a) la trasformazione delle nostre società in società multiculturali, con i problemi di convivenza e con le richieste di riconoscimento che ne derivano; b) la crisi d’identità dovuta alla globalizzazione, che indebolisce le identificazioni nazionali e contrappone le culture; c) la crisi ecologica che ha investito il pianeta e che richiede, per essere affrontata, l’assunzione di una visione globale dei problemi ambientali e la ridefinizione continua del rapporto tra scienza, tecnologie, economia, territori, società e comunità con il coinvolgimento dell’insieme dei cittadini; d) l’emergere della bioetica, cioè di un insieme di questioni che, pur riguardando aspetti privati come la vita e la morte, il corpo e la generazione, esorbitano dal campo delle scelte esclusivamente personali, ed entrano in quelle della decisione pubblica, a causa dell’innovazione tecnologica che le ha investite.  È l’intreccio di questi quattro aspetti a dare alle religioni e alle culture in genere un ruolo diverso dal passato, che spesso costituisce una sfida all’esercizio della decisione politica democratica.

Nel frattempo, l’attentato dell’11 settembre 2001 e gli eventi che ne sono conseguiti fino agli atti terroristici di Parigi e Bruxelles, rivendicati dall’autoproclamato Stato Islamico, ha dato una nuova curvatura al problema del rapporto tra culture e tra religioni. Nella torsione identitaria propria dei gruppi religiosi antioccidentali, si è accentuato il fenomeno dei cosiddetti neocon negli USA, a cui si è affiancato il corrispondente italiano degli “atei devoti”, riproducendo lo scontro al suo livello più immediato, precedente all’invenzione storica della tolleranza e della laicità.

È in tale contesto che s’inserisce un’operazione culturale i cui esiti dirompenti solo pochissimi osservatori, come Vicenzo Ferrone, hanno attentamente analizzato (F. Bolgiani, V. Ferrone, F. Margiotta Broglio 2004): la diffusione dei messaggi fondamentali del Concilio Vaticano II, dopo decenni di silenzio da parte dei vertici ecclesiali, attraverso la revisione sul piano storiografico del rapporto tra tradizione cristiana e modernità, rivendicando alla Chiesa cattolica una funzione strategica e meriti nell’aver creato gli stessi presupposti della modernità e, in particolare, di quella libertà di coscienza che i popoli cristiani godono, ad esempio, rispetto alle nazioni islamiche. Si tratta di un inedito modo di pensare all’identità e alla funzione della Chiesa nel nuovo millennio che ha avuto tra i suoi massimi protagonisti la figura del teologo e cardinale Joseph Ratzinger, divenuto papa Benedetto XVI, e rimasto con il pontificato di Francesco una delle intelligenze più fervide della Chiesa, dopo la rinuncia al ministero petrino nel 2013. Dopo secoli di condanne e anatemi, egli non esita a riconoscere che «il primo passo della storia moderna è stato il sapere aude, usa la tua ragione, dell’Illuminismo» e che l’idea stessa di libertà ha in definitiva acquistato «il suo profilo concreto attraverso l’epoca moderna dell’Illuminismo che intende inaugurare la storia della liberazione dopo una lunga storia della schiavitù e della superstizione» (J. Ratzinger 1987a).

ILLUMINISMO: FIGLIO “RIBELLE” DEL CRISTIANESIMO?

Con raffinata sensibilità filosofica e acuta percezione della necessità di ridefinire il senso autentico della nuova frontiera di quel dialogo con la cultura moderna avviato dal concilio, Ratzinger ha esorcizzato l’Illuminismo facendolo diventare paradossalmente una sorta di figlio – seppure impertinente e un po’ ribelle – del cristianesimo: «Anche l’ethos dell’Illuminismo, che tiene ancora insieme i nostri Stati, vive dell’influenza postuma del cristianesimo, il quale gli ha trasmesso le basi della sua razionalità e della sua struttura interna» (J. Ratzinger 1987b).

Il 19 novembre 2004 la Repubblica riporta un’intervista di Ratzinger rilasciata a Marco Politi. «Il laicismo – egli afferma – non è più quell’elemento di neutralità, che apre spazi di libertà per tutti. Comincia a trasformarsi in un’ideologia che si impone tramite la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la quale rischia così di diventare cosa puramente privata e in fondo mutilata. In questo senso una lotta esiste e noi dobbiamo difendere la libertà religiosa contro l’imposizione di un’ideologia che si presenta come fosse l’unica voce della razionalità, mentre invece è solo l’espressione di un ‘certo’ razionalismo». La gerarchia cattolica introduce così nel lessico mediatico un nuovo significato di “laicista”, ridotto ad epiteto spregiativo affibbiato a tutti coloro che impedirebbero alla visione cattolica e cristiana – elaborata dai vertici ecclesiastici – di esprimersi pubblicamente. Un epiteto squalificante e utile a distinguere i laici “veri” o “sani” in base a canoni stabiliti volta per volta dalle autorità della Chiesa. La sovrapposizione di concetti determina confusione, incomprensione e aporie, con effetti paradossali  e incongruenze nelle normative che riguardano gli ambiti più svariati.

Dinanzi a siffatti fenomeni, in taluni ambienti laici è incominciato un ripensamento dell’idea di laicità che viene definita come «atteggiamento intellettuale caratterizzato in modo sufficiente dal lasciare (e auspicabilmente dall’avere) libertà di coscienza, intesa quale libertà di conoscenza, libertà di credenza, libertà di critica e autocritica» (G. Boniolo 2006). Altre definizioni parlano di “laicità” come «autonomia nella definizione delle norme del comportamento morale» (G.E. Rusconi 2007). Il concetto di laicità viene accostato a quello di dubbio. Per spirito laico s’intende lo spirito critico contro lo spirito dogmatico. S’incomincia a ritenere che lo «spazio dell’interrogazione» è lo spazio stesso della laicità. Essa viene associata all’idea di «abbandonare gli idoli, quello ad esempio della fiducia illimitata nelle possibilità della scienza, l’idea salvifica del progresso e della tecnica, oppure il paradigma dell’efficacia come solo criterio di verità» (P. Barcellona 2006).  Si ridefiniscono termini usati lungamente con significati univoci, come “razionale” e “irrazionale”, “sacro” e “profano”. In questo processo di scomposizione e ricomposizione delle idee legate in qualche modo alla laicità, «solo l’accettazione e la convivenza di culture e religioni diverse, mediante l’elaborazione del concetto e della pratica di “contraddizioni culturali”, sembrano aprire una via d’uscita dalle contraddizioni che oggi pesano sulla vita quotidiana dell’umanità e ne segnano duramente il destino» (F. Ferrarotti 2013).

Riferimenti bibliografici

Barcellona P., Critica della ragione laica, Città Aperta Edizioni, Troina, 2006, p. 51

Bolgiani F., Ferrone V., Margiotta Broglio F. (a cura di), Chiesa cattolica e modernità, Il Mulino, Bologna, 2004, 1ᵃ Parte

Boniolo G. (a cura di), Laicità. Una geografia delle nostre radici, Einaudi, Torino, 2006, pp. IX-XXVI

Ferrarotti F., La religione dissacrante, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2013, p. 132

Mancina C., La laicità al tempo della bioetica, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 17

Ratzinger J., Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Milano, 1987, p. 187

Ratzinger J., Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Milano, 1987, p. 203

Rusconi G.E., Per un’etica laica, Rizzoli, Milano, 2007, p. 14

 

(L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Confronti, settembre 2016)

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