Costruire un nuovo e unitario
soggetto dell'Agricoltura Sociale in Italia
Cari Associati,
l’Assemblea di oggi è chiamata ad
assumere decisioni importanti che riguardano l’impegno della Rete e di ciascuno
di noi per la crescita e la diffusione delle esperienze di agricoltura sociale
nel nostro Paese. Le proposte sono racchiuse in un documento che abbiamo
allegato alla lettera di convocazione e
che sarà sottoposto al vostro voto alla fine del dibattito.
Il documento è stato redatto
unitariamente dalla Presidenza, che ha raccolto e portato a sintesi la
discussione svoltasi nel Consiglio Direttivo. Di questo ringrazio fraternamente
Anna, Antonio, Carlo e Michele. In quella sede si sono confrontate diverse
ipotesi di evoluzione della nostra
Associazione dopo questa prima fase iniziale che ci ha visti impegnati, insieme
alle organizzazioni aderenti e ad altri soggetti, nel promuovere l’idea di
agricoltura sociale, nel diffondere i suoi contenuti e le sue potenzialità, nel
conseguire i primi riconoscimenti nelle politiche pubbliche.
Una prima opzione si
caratterizzava per un percorso futuro in continuità con l’esperienza fatta
finora: ampliamento delle funzioni della Rete da mero coordinamento di
organizzazioni a più efficace struttura di rappresentanza e servizio delle
realtà di base associate e di soggetto promotore, insieme ad altri, di un Forum
nazionale dell’agricoltura sociale.
Una seconda ipotesi immaginava
la Rete come mera struttura di
coordinamento delle organizzazioni nazionali aderenti, senza alcuna funzione di
rappresentare le esigenze delle fattorie sociali aderenti.
E una terza opzione suggeriva,
infine, semplicemente di sciogliere la nostra esperienza in una nuova
aggregazione da costruire con altri soggetti.
Dal confronto che abbiamo condotto
in modo trasparente è stata elaborata una proposta unitaria che chiude, se
l’Assemblea concorderà, una fase vivace di discussione interna su questioni non
facili da dirimere, che tuttavia ha comportato una situazione intollerabile di
stallo delle nostre attività, che dura dal mese di febbraio e che dobbiamo
rapidamente superare.
***
Al centro della nostra iniziativa futura abbiamo
posto l’esigenza che si dia vita ad un soggetto nuovo che possa rappresentare
l’insieme delle agricolture sociali, nella loro pluralità e diversità, aperto a
tutte le strutture, alle varie organizzazioni, ai ricercatori che operano nelle
università e in altre istituzioni pubbliche e private, alle professioni, agli
operatori della comunicazione e a tutti coloro che in Italia sono impegnati a
promuovere tali esperienze.
Mi preme sottolineare che questo
obiettivo è coerente con lo spirito originario della Rete. Sin dall’atto fondativo,
la nostra Associazione si è, infatti, concepita come uno dei soggetti del
pluralistico mondo dell’agricoltura sociale, senza alcuna pretesa di autosufficienza
e senza coltivare atteggiamenti di superba autoreferenzialità. Ci siamo,
invece, resi disponibili a forme di collaborazione, aggregazione e
coordinamento più ampie, riconoscendo anche ad altri soggetti la rappresentanza
di singole esperienze o di reti locali.
In questi due anni, sono stati
coltivati molteplici rapporti con il Ministero delle politiche agricole, l’INEA,
la Commissione
agricoltura della Camera, diverse istituzioni regionali e provinciali,
contribuendo all’elaborazione di proposte di legge e di normative riguardanti
l’agricoltura sociale. Partecipiamo attivamente al Tavolo di Partenariato della
Rete Rurale Nazionale, fornendo le nostre proposte che, almeno in via formale,
vengono puntualmente recepite nei documenti ufficiali. La nostra funzione viene
generalmente riconosciuta in tutte le sedi dove si discute di agricoltura
sociale. Gli apporti più importanti sono condensati nel documento approvato
dall’Assemblea svoltasi nel 2009 dal titolo “Contributo per una Carta dei
Valori e dei Principi dell’Agricoltura Sociale” e nella nota “L’Agricoltura
Sociale, una priorità nella prossima legislatura regionale” varata dal
Consiglio Direttivo e inviata ai candidati alle Elezioni regionali 2010. Alle
scelte contenute in tali testi facciamo riferimento negli incontri pubblici e
nelle sedi di consultazione riguardanti l’agricoltura sociale.
Abbiamo costruito una reciprocità
di relazioni con il Forum del Terzo Settore e con una serie di Associazioni di
familiari di persone con disabilità. Ultimamente siamo stati coinvolti nella
creazione della Fattoria Sociale – Centro Diurno di Spello, in Umbria, promossa
dall’ANGSA – Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici. Siamo stati,
inoltre, indicati dalla giuria del Premio “La Formica d’Oro” 2010, promosso dal
Forum del Terzo Settore del Lazio tra le organizzazioni a cui, lunedì 29
novembre prossimo, nel teatro Sala Umberto di Roma, verrà assegnato
l’importante riconoscimento.
***
Nell’Assemblea dell’anno scorso
ci prefiggemmo di promuovere con altri partner pubblici e privati
la Comunità di pratiche italiana. E’
un traguardo che rimane nello sfondo e che potremo raggiungere più facilmente
se prima daremo vita ad un soggetto autonomo dalle istituzioni in grado di
raggruppare la gran parte delle forze sociali impegnate o che desiderano
impegnarsi nella sperimentazione concreta di pratiche, in cui le persone con
svantaggi o disagi possano dare un senso alla propria esistenza e alle proprie
capacità, mediante le attività agricole e le reti di economia solidale nei
territori rurali.
Si tratta di far nascere un
soggetto che abbia come compito primario quello di elaborare unitariamente
posizioni condivise da far valere in modo “vertenziale” nei confronti delle
istituzioni. Dunque, un soggetto “padrone di sé”, che dovrà agire in piena
autonomia. La denominazione e le modalità per attivarlo dovranno essere decise
da un Comitato Promotore formato da tutti coloro che vorranno partecipare al
processo costituente.
Una volta attivato, il nuovo
soggetto potrà organizzare con le istituzioni, nelle forme che si riterranno
più idonee, la Comunità
di Pratiche italiana come momento di scambio di esperienze – in ambito pubblico
e privato - delle diverse realtà presenti nel nostro Paese.
L’urgenza di fondare il nuovo
soggetto deriva dalla consapevolezza di vivere una fase caratterizzata da un
appesantimento della situazione economica strutturale del Paese con gravi
ricadute sulle condizioni socio-economiche delle campagne e sulle reti di
protezione sociale.
Dal dibattito pubblico sulle
riforme necessarie per superare la crisi non emergono, infatti, orientamenti
volti ad utilizzare le ridotte risorse pubbliche in un disegno di sviluppo e di
equità. L’opinione prevalente che circola negli ambienti politici e che viene
trasmessa dai media è che, una volta superato il punto più critico della crisi
economica, saranno superati anche gli altri problemi, la crescita economica
ricomincerà e potremo velocemente e proficuamente tornare a produrre e
consumare come si è sempre fatto in passato.
E’ a mio avviso un’analisi
superficiale perché all’origine della
crisi finanziaria e delle crisi che si sono aperte, da quella sociale a quella
alimentare, da quella energetica a quella ambientale, non c’è un incidente di
percorso, ma una fondamentale carenza teorica della dimensione umana del
capitalismo. La rappresentazione corrente delle attività economiche che si
svolgono nell’odierna società vede uomini e donne impegnati ad ogni livello
delle attività di produzione di beni e servizi unicamente animati
dall’obiettivo di massimizzare il profitto personale. Questa però è una visione
profondamente distorta della natura umana perché le persone sono creature
multidimensionali, la cui felicità deriva da tante fonti, non solo dal denaro.
La storia delle campagne, in ogni
parte del mondo, ci fornisce molte indicazioni per riflettere sul presente e
sul futuro. La principale è che l’evoluzione sociale ed economica del mondo
agricolo è avvenuta ed avviene sulla spinta di aspirazioni profonde di tante
persone alla libertà d’iniziativa, alla creatività, all’autonomia da condizionamenti
esterni e alla proprietà della terra come occasione per stabilire un legame
anche affettivo con un fattore indispensabile e irriproducibile e, dunque, da
preservare nel migliore dei modi. Si tratta di aspirazioni che interagivano e
continuano ad integrarsi – nelle aree del mondo più povere molto più che da noi
- con legami sociali diffusi, comunitari, e con valori altruistici di mutuo
aiuto e reciprocità.
Con la modernizzazione agricola
avvenuta in modo esplosivo negli ultimi sessanta anni e il cui motore è stata
l’interazione tra tecnologia e impresa concepita astrattamente come meccanismo
di produzione mosso dall’obiettivo di massimizzare il profitto, quelle
aspirazioni si sono alimentate sempre meno di legami sociali e di valori
altruistici ed hanno assunto spesso connotati egoistici. Ciò ha determinato un’erosione
crescente di beni relazionali, capitale sociale e risorse naturali, come ci ha
mostrato il professor Cecchi nel nostro seminario sulla PAC presentandoci i
risultati di una recente ricerca sul capitale sociale nelle campagne europee.
Ma alla stessa conclusione sono pervenuti gli studiosi che hanno relazionato al
Seminario dell’ALPA sulla PAC. Ed è questa perdita immane di beni relazionali e
di capitale sociale nelle campagne alla base della crisi agricola che stiamo
vivendo.
Se non si fa in modo rigoroso questa
analisi, non si comprende il sostanziale fallimento delle politiche agricole
adottate negli ultimi trenta anni, da quando cioè si è aperta la crisi della
PAC delle origini; e non si potranno individuare nuove politiche che possano
affrontare seriamente i problemi aperti nell’agricoltura europea.
La recente Comunicazione della
Commissione europea su “La PAC
verso il 2020. Rispondere alle future sfide dell’alimentazione, delle risorse
naturali e del territorio” mostra scarso coraggio proprio perché a monte non
c’è questa analisi: gli aiuti ai produttori non diventano, nelle nuove proposte,
veri incentivi con cui riconoscere la capacità dell’agricoltura di produrre
effettivi e misurabili beni pubblici, come se la maggioranza degli agricoltori
sia mossa esclusivamente dall’esigenza di accrescere i propri redditi e non
anche dalla soddisfazione di svolgere funzioni di interesse collettivo e dimostrare
di esplicarle nel concreto; e lo sviluppo rurale non si trasforma in uno
strumento con cui il patrimonio di attività, conoscenze e valori delle comunità
locali viene messo a frutto per la competitività dei territori, i cui prerequisiti
sono la qualità sociale e l’inclusività.
E’ un documento che si limita a
dare alla PAC qualche pennellata in più di colore “verde” senza, tuttavia,
modificarne la sostanza: si rinfrescano le facciate ma l’edificio rimane
saldamente ancorato alle sue basi produttivistiche e ad una concezione della
competitività fondata esclusivamente sulla riduzione dei costi e sulle economie
di scala e non già sulla diversificazione e sulle reti territoriali.
Del resto, senza un’enunciazione
chiara dei valori e dei principi fondanti della società aperta, come la
giustizia sociale, lo sviluppo umano, il mutuo aiuto, la reciprocità,
l’inclusione, le pari opportunità, la salvaguardia delle risorse per le
generazioni future, anche gli obiettivi di interesse generale delle politiche e
gli strumenti per conseguirli difficilmente si possono individuare con
precisione.
In agricoltura è enorme il divario
tra valori enunciati nel discorso pubblico e obiettivi reali delle politiche.
Basti riflettere sul fatto che nessun documento programmatico fa leva sulle
motivazioni di fondo che spingono, da qualche decennio, tanti giovani e tante
donne a condurre attività agricole soprattutto lungo percorsi innovativi
fondati sulla multifunzionalità. Si tratta spesso di motivazioni legate alla
qualità della vita, al bisogno di dare un senso più profondo alla propria
esistenza o di rendersi utili per contribuire a risolvere dei problemi sociali,
promuovendo attività imprenditoriali che si autosostengono economicamente e
finanziariamente, ma che sono volte a conseguire finalità di interesse
collettivo. L’obiettivo non è il produrre cibo in sé, ma il produrlo in un
certo modo per ottenere beni pubblici capaci di soddisfare bisogni collettivi.
In queste nuove esperienze si opera una sorta di capovolgimento dei mezzi in
fini, per ristabilire un ordine di priorità che si era smarrito con la
modernizzazione agricola: è l’uomo coi suoi bisogni e le sue aspirazioni più profonde
il fine dell’attività economica, mentre il processo produttivo, il prodotto e
la sua scambiabilità sono soltanto i mezzi per conseguirlo.
Nel nostro seminario sulla PAC,
il professor Becchetti ci ha spiegato che i beni relazionali sono quei beni che
vengono co-prodotti e co-consumati simultaneamente dai soggetti coinvolti; non
possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo ma sono goduti soltanto
se condivisi nella reciprocità; sono, in sostanza, diversi dalle merci perché il
loro valore consiste nel soddisfare un bisogno attraverso il dono. Ebbene, i
processi produttivi agricoli sono tuttora incentivati dalle politiche
pubbliche non già riducendo il costo
dell’investimento in beni relazionali, ma riducendo il costo della loro distruzione.
Tutto l’edificio dell’intervento
pubblico in agricoltura si basa, infatti, sul concetto di impresa agricola che
si ritrova nel codice civile e nei manuali di economia agraria e in cui
l’imprenditore è visto come una persona mossa esclusivamente dalla ricerca del
tornaconto personale, anche quando si tratta di un’impresa familiare o di un
piccolo produttore: è questa la visione che c’è nei bandi che riguardano i
sostegni pubblici agli investimenti, nei piani di impresa su cui si esamina la
validità dei un’iniziativa, nell’accesso al credito agevolato. Per la pubblica
amministrazione, il fatto che una persona possa fare l’imprenditore per il
gusto di contribuire a risolvere un problema sociale attraverso un’attività
economica - che ovviamente deve
remunerare il lavoro anche quando questo è prestato dallo stesso imprenditore -
non costituisce un elemento da prendere in considerazione, perché è una variabile
non contemplata dalla teoria economica dell’impresa agricola. Si richiede,
anche in questo caso, di ridurre i costi o di razionalizzare il processo
produttivo senza curarsi degli effetti di queste misure sui benefici sociali
che costituiscono il vero obiettivo di questa particolare impresa. E quando si
interviene sugli aspetti sociali, lo si fa nella forma del sostegno al reddito,
in una visione assistenzialistica e corporativa, e mai come legittimo e
misurabile corrispettivo di un bene pubblico non remunerato dal mercato; lo si
fa privilegiando l’imprenditore a tempo pieno e che fa solo l’agricoltore e per
tutta la vita, creando rendite di posizione inaccettabili e discriminando
apporti che pure sono tesi a creare rilevanti benefici sociali.
Come dice giustamente il Premio
Nobel per la pace Muhammad Yunus, il business sociale non cerca di massimizzare
il profitto, di spazzar via la concorrenza, di perseguire una crescita fine a
se stessa, ma cerca di portare un beneficio alle persone e alle comunità
utilizzando a questo scopo le più efficaci e accorte tecniche finanziarie e gestionali.
Dovremmo, pertanto, essere più
audaci nel presentare la nostra idea di agricoltura sociale, che trae proprio
dall’essere un concetto così forte, e al tempo stesso così flessibile e
adattabile, la propria posizione di vantaggio rispetto alle concezioni tradizionali
nel rappresentare una concreta possibilità di rinnovamento. La nostra idea non
intacca la libertà di scelta delle persone che anzi amplia in modo sostanziale;
non ha la pretesa di costituire un modello alternativo o contrapposto agli
altri, ma è perfettamente compatibile con la struttura economica esistente; ed
apre anzi una via per rivitalizzarla.
Il destino di questa nostra idea
di agricoltura sociale dipenderà esclusivamente dall’efficacia con cui
riusciremo a toccare le giuste corde nella sensibilità dell’opinione pubblica.
Se saprà diventare parte del sogno di un mondo migliore che tante persone
portano nel cuore; allora niente la potrà fermare e si svilupperà per quanto
avverse possano sembrare le circostanze.
Dovremmo essere più audaci nel
definire i nostri obiettivi concreti.
Perché non sperimentare fondi di
investimento per la produzione di beni pubblici relazionali e ambientali da
realizzare mediante le attività agricole, in cui far confluire risparmi delle
famiglie, donazioni, apporti delle grandi imprese e delle banche?
Perché non creare programmi per
formare nuove competenze in attività che producono beni relazionali e
promuovere l’autoimprenditorialità in agricoltura come percorso di autonomia e
autorealizzazione per tante persone svantaggiate?
Perché non dare vita a reti
locali di economia solidale, in cui possano trovare uno spazio economico
sostenibile piccoli produttori, forme diverse di agricoltura amatoriale, gruppi
di acquisto, mercati agricoli di vendita, esperienze di artigianato e turismo
rurale, centri di produzione della cultura locale, il tutto in una visione
imprenditoriale rivolta al bene delle comunità?
Per esprimere istanze simili con
la necessaria efficacia ci vuole, dunque, un soggetto nuovo che sprigioni la
tensione etica delle esperienze di agricoltura sociale, comunichi la loro
capacità di produrre beni relazionali e contribuisca a ricostruire l’immagine
di un’agricoltura civile i cui fini, prima d’ogni altro, sono ridurre le
ingiustizie, sviluppare le capacità delle persone e proteggere l’ambiente.
Alla costruzione di questo nuovo
soggetto andranno dedicati nelle prossime settimane impegno ed energie
soprattutto da parte delle organizzazioni nazionali che aderiscono alla Rete:
Acliterra, Aiab, Alpa e Cnca. Vi è bisogno di tutta la loro autorevolezza e
generosità per contattare altre forze disponibili e altre reti e insieme
raggiungere un più elevato coordinamento delle strutture organizzate. Esse
svolgeranno questa funzione primaria mettendo in campo tutte le proprie
prerogative e spostando ad un livello più ampio la loro capacità aggregante per
dare voce alla dimensione civile ed etica dell’agricoltura italiana e
promuovere una sintesi condivisa dei suoi valori e dei suoi principi.
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Il cantiere che si apre per
edificare il soggetto nuovo ed unitario da fondare insieme ad altri è, dunque,
il nuovo scenario entro cui la Rete
ridefinisce il suo protagonismo, le sue funzioni e la sua struttura organizzativa.
Essa non avrà più l’onere di
coordinare l’iniziativa delle organizzazioni nazionali aderenti sui temi
dell’agricoltura sociale perché tale funzione si sposta sul nuovo soggetto che
dovrà nascere e il cui processo costituente vedrà già da ora l’impegno di primo
piano in capo a ciascuna delle organizzazioni.
La Rete non avrà, inoltre, il compito di
assumere iniziative sulla base di una cessione di sovranità delle
organizzazioni nazionali aderenti perché ciascuna di esse, d’ora in poi, non
rinuncerà più a nessuna delle proprie prerogative per svolgere meglio le
proprie funzioni nei rapporti con le istituzioni e con l’insieme delle diverse
realtà organizzate.
La Rete accentuerà, viceversa, la sua
caratterizzazione di agile e concreta struttura rappresentativa dei bisogni e
delle aspettative delle fattorie sociali aderenti, stabilendo con esse e coi
loro coordinamenti regionali un rapporto diretto, nell’ambito dei programmi
definiti dall’Assemblea e dal Consiglio Direttivo.
Oltre alle 4 organizzazioni
nazionali e al coordinamento regionale della Sicilia che vede il coinvolgimento
di oltre 50 realtà locali, aderiscono formalmente alla Rete 32 fattorie
sociali, insediate in 11 regioni italiane, 2 associazioni di familiari,
un’associazione di professionisti del diritto impegnati nel sociale, un
istituto di studi e ricerche sui servizi sociali e una decina di persone fisiche, tra studiosi,
ricercatori e liberi professionisti. Si tratta per lo più di adesioni che si
sono manifestate nell’ultimo anno. Dal crescente numero di contatti al nostro
sito internet e dalle numerose mail che continuano ad arrivare ogni giorno da
aziende agricole, cooperative, associazioni, si evince, peraltro, la dimensione
di un radicamento non occasionale, destinato ad aumentare nel tempo. Sarebbe
una follia distruggerlo prima di assestarlo in una vera e propria struttura
associativa, con una sede nazionale stabile e funzionante quotidianamente, con
coordinamenti regionali e con una serie di attività e iniziative che vedano
costantemente coinvolti gli associati.
Si è creata un’aspettativa che
riguarda la nostra capacità di fornire servizi specialistici di ogni tipo.
Dobbiamo formare, mettere insieme e organizzare competenze tecniche e
professionali per approfondire aspetti riguardanti l’introduzione di sempre
nuove attività nelle strutture, l’adeguamento dei processi produttivi al
bisogno di inserire persone con particolari svantaggi, gli strumenti
finanziari, il marketing, l’organizzazione del prodotto. Va sempre più
rafforzata la capacità di svolgere attività di animazione e progettazione
laddove nascono nuove idee progettuali da parte di singoli o di gruppi.
Dobbiamo ulteriormente sviluppare lo sportello internet per divulgare meglio le
informazioni e le esperienze. Occorre supportare, come abbiamo incominciato a
fare, progetti formativi che riguardino soprattutto l’inserimento delle persone
deboli, per fare in modo che attraverso l’attività di rete e di animazione si
individuino effettivi sbocchi di lavoro o iniziative di autoimprenditorialità e
non si faccia una formazione fine a se stessa. Dobbiamo moltiplicare le
iniziative come quella organizzata dai nostri amici dell’Agenzia AICARE per
fare emergere le buone pratiche attraverso la creazione di premi, eventi
culturali e artistici. Bisogna che continui con l’impegno di tutti l’attività
del gruppo di lavoro sulle normative, coordinato da Roberto Finuola, per
monitorare i provvedimenti che lo Stato e le Regioni si apprestano a varare per
orientare meglio le scelte pubbliche e supportare gli operatori che dovranno
applicarli.
Ecco, noi dobbiamo essere in
grado di offrire, senza riserva alcuna e nel migliore dei modi, tutti questi
servizi. Lo dobbiamo fare diventando una vera e propria associazione che non
opera in libertà vigilata e si occupa quotidianamente dei problemi concreti delle
fattorie sociali e di quei soggetti o gruppi che ogni giorno sviluppano nuove
idee progettuali. Essi riporranno poi la propria fiducia in chi risponderà
meglio alle loro esigenze.
La Rete continuerà ad essere
un’Associazione di organizzazioni e di persone per far sì che non si disperda
la ricchezza degli apporti finora in essa confluiti e si possano realizzare,
liberamente e volta per volta, sinergie e collaborazioni con le organizzazioni,
le associazioni e gli istituti che svolgono compiti analoghi. Andrà, peraltro,
svolto ogni tentativo per ricercare gli apporti anche di altre organizzazioni,
associazioni e istituti che finora non hanno aderito poiché il loro sostegno è
essenziale alle fattorie sociali.
L’adesione delle organizzazioni
non mette, altresì, in discussione il principio associativo di “una testa un
voto” e costituisce un modello organizzativo originale volto a diffondere i
principi di partecipazione, solidarietà e mutuo aiuto nelle diverse realtà di
agricoltura sociale. Tale formula presuppone il riconoscimento di appartenenze
multiple, oggi reso più facile a seguito della crisi degli ideologismi. Occorre
riconoscere il diritto di una fattoria sociale di aderire contemporaneamente a
più organismi per le specificità che questi esprimono. Si tratta di uno schema
che meglio si adatta ad una associazione che deve integrare settori, discipline
e competenze diverse e permette una maggiore ricchezza.
***
La Rete svolgerà, pertanto, liberamente i
compiti propri di Associazione di promozione sociale democraticamente definiti
dai propri organi statutari, senza limitazione alcuna. A livello regionale
andrà riconosciuta alle organizzazioni e alle persone che aderiscono alla Rete
la più ampia autonomia organizzativa. Da tale riconoscimento deriveranno più
ampie e complessive responsabilità della struttura nazionale, la quale dovrà
svolgere tutte quelle funzioni di supporto che permettano alle strutture
territoriali di sviluppare le iniziative più opportune per promuovere
l’agricoltura sociale.
Pervenendo così come stiamo
facendo ad una definizione puntuale delle funzioni e dei compiti della Rete, le
garantiamo la possibilità di esercitare una più incisiva presenza e una più
spiccata capacità di elaborazione sulla base di un protagonismo degli agricoltori
e dei presidenti di cooperative, compiendo ogni sforzo per promuoverli negli
organismi dirigenti e alle massime cariche dell’Associazione. Non si tratta di
un richiamo retorico ai principi della democrazia partecipativa, ma di dar vita, senza infingimenti, a processi
concreti di crescita e affermazione dei diretti protagonisti delle esperienze
che intendiamo diffondere, nella ferma convinzione che la realizzazione dei
relativi percorsi debba essere un tratto distintivo di un’agricoltura civile.
Come vedete, non ho predisposto
un programma di nuove attività della
Rete, pur avendo pensato a lungo in questi mesi a tanti progetti e iniziative,
perché mi è sembrato più corretto concludere prima la nostra discussione su
cosa deve essere l’Associazione e poi decidere – con una riunione del Consiglio
Direttivo da svolgere prima delle feste natalizie - le attività da realizzare
fino all’Assemblea per il rinnovo degli organismi dirigenti.
Non è stato inutile questo
dibattito perché ha permesso di confrontare culture e sensibilità diverse. E
dal dialogo, quando è leale e trasparente, si esce tutti più arricchiti. Per
quanto mi riguarda, ho appreso che non dobbiamo mai rinunciare a trasformare i
nostri desideri in realtà. Anche quando le circostanze sono difficili e a volte
sofferte, bisogna avere pazienza, saper ascoltare in silenzio, mettersi in
attesa. Più "impossibile" è l’obiettivo, più stimolante sarà la sfida per
raggiungerlo.