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Risanamento dei Sassi di Matera

Una ricerca pioneristica del 1951 guidata da Frederick George Friedmann

matera
Le condizioni drammatiche di vita dei contadini che abitavano nei Sassi di Matera si imposero all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale nel 1945, quando la casa editrice Einaudi pubblicò il romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”.
Nel 1948 la missione americana in Italia dell’European Cooperation Administration (ECA), agenzia preposta all’erogazione degli aiuti del Piano Marshall, affidò a Nallo Mazzocchi-Alemanni l’incarico di redigere un programma di intervento per affrontare il problema dei Sassi. Il progettista era economista, agronomo e urbanista e si era occupato nel periodo fascista di colonizzazione rurale. In sostanza, aveva gestito programmi per eliminare il latifondo e spostare i contadini nelle campagne ai fini di un incremento della produttività.Nella relazione, Mazzocchi-Alemanni scrisse: “Il problema dei Sassi […] è contemporaneamente urbano e rurale, igienico ed economico interamente connesso con quello della trasformazione agraria di tutto il territorio materano. E poiché a fondamento della trasformazione fondiaria della regione è ormai riconosciuto che sta la costituzione di ‘borghi residenziali’ […] si ritiene che tale soluzione è pienamente rispondente alla sopraindicata ed evidente necessità di sfollamento e risanamento dei Sassi di Matera […]. [Pertanto sono previste] tre direttive di contemporanea attuazione: 1) Borghi residenziali; 2) Rioni periferici; 3) Azione diretta nel Sasso”.

Matera è una città particolare. Con una superficie territoriale di entità molto superiore a quella degli altri comuni della Basilicata. In genere, le città capoluogo di provincia hanno poca terra. Invece Matera ha una grande estensione. Subito dopo la Liberazione, fu tra i comuni all’avanguardia nelle lotte per la terra e nel movimento per la riforma agraria. Forse anche per questo e, non solo, per la presenza dei Sassi che testimoniano l’esistenza di una antichissima civiltà rupestre, Matera è considerata una capitale contadina.
Nel frattempo, tornò in Italia Frederick George Friedmann, professore di Filosofia all’Università di Fayetteville nell’Arkansas (Usa). Egli era tedesco ed ebreo. A causa delle leggi razziali, aveva lasciato il suo paese ed era venuto in Italia dove aveva ricevuto un incarico come insegnante di tedesco nelle scuole. Qui aveva conosciuto la figlia del console americano a Napoli ed era riuscito così ad avere un visto per l’America. In Germania, Friedmann si era occupato, nei suoi studi socio-antropologici, di come i contadini reagivano alla miseria e di come tali reazioni differivano da quelle delle popolazioni urbane. In America continuò a studiare i contadini di origine francese, quindi di cultura latina. E scoprì che vi erano delle sostanziali differenze rispetto a quelle notate in Germania. Gli venne dunque il dubbio che forse la componente culturale avesse un’influenza nel determinare queste varietà. E dunque, finita la guerra, decise di riprovare questa sua ipotesi in Europa, in un paese latino. Il suo breviario di viaggio era il “Cristo” di Levi, una sorta di guida turistica degli studiosi americani che venivano a indagare la condizione dei contadini nell’Italia del Sud.
Friedmann si rivolse a Manlio Rossi-Doria, professore ordinario di Economia e politica agraria dell’Università Federico II di Napoli. E andò a Portici con una borsa di studio della Fondazione Ford.
Presso questa Facoltà di Agraria, si era appena costituito, per iniziativa di Rossi-Doria, un gruppo di Sociologia rurale con l’apporto determinante di Gilberto Marselli, Giuseppe Orlando e Rocco Scotellaro.
Questo nucleo di studiosi, affiancandosi al prof. Franco Leonardi dell’Università di Catania, voleva contribuire alla ripresa della sociologia in Italia, dopo che era stata espulsa dal nostro ordinamento accademico dal fascismo ed era stata ostacolata dal dominante pensiero dei crociani.
Friedmann si avvalse della loro collaborazione nel delineare la sua ricerca. Egli intuì immediatamente che la miseria nelle campagne lucane o calabresi era qualcosa di più che un insieme di condizioni materiali. La miseria andava intesa come un’esasperazione di povertà, una filosofia, un sistema di vita. E riguardava non solo il contadino senza terra, il bracciante, ma anche il piccolo proprietario di terre, l’artigiano, il professionista e, in qualche modo, lo stesso barone.
Al sociologo tedesco era stata affidata, nell’ambito del programma Fullbright per gli scambi culturali – un’articolazione del Piano Marshall -, un’indagine su una delle comunità di provenienza degli immigrati europei negli Stati Uniti.
Friedmann visitò i Sassi di Matera e ne restò affascinato. Qui trovò una popolazione tutta accentrata in città e pure tutta gravante, per le risorse di vita, nella campagna circostante. Fra il denso nucleo urbano e l’agro deserto esisteva un paradossale vincolo di interdipendenza che destava una molteplicità di interrogativi. Lo studioso scelse la città lucana come ambito dell’indagine sociologica che intendeva portare avanti.
UN WORK TEAM INTERDISCIPLINARE
Costituì un gruppo di studio interdisciplinare, che comprendeva, oltre il gruppo di Sociologia rurale di Portici, la paletnologa Eleonora Bracco, la psicologa Lidia De Rita, gli urbanisti Federico Gorio e Ludovico Quaroni, l’assistente sociale Rigo Innocenti, il geografo Giuseppe Isnardi, l’igienista Rocco Mazzarone, lo storico Francesco Nitti, l’antropologo Tullio Tentori e Riccardo Musatti della direzione della rivista di architettura Metron.
Questo work team denominato “Commissione di Studio della città e dell’agro di Matera”, era sostenuto dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), che all’epoca era presieduto da Adriano Olivetti, e dall’UNRRA-CASAS (Prima Giunta), a cui erano stati assegnati i fondi ERP.
In una lettera indirizzata all’urbanista Ludovico Quaroni, il 18 novembre 1951, Friedmann precisò così il ruolo del gruppo di studio: “La comunità che stiamo studiando è comunità umana, è più che ambiente (fisico e umano), è attività di soffrire e di creare. Essa interpreta quel che subisce e cerca di trasformare interpretando. È cultura (cioè il modo di sentire e di risolvere i problemi) in crisi. È una società con un tipo di coscienza, che cambia (che entra nella coscienza storica, si suol dire). Cambiamenti avvengono in quel che si crede di poter cambiare. In certe aree di vita si crea un vuoto – vecchie forme di vita cadono e le nuove non sono ancora pronte – e nascono, quindi, le pseudo-soluzioni, gli astrattismi”.
Tornando con la memoria a quella vicenda, una ventina d’anni fa il sociologo Marselli ha scritto: “Durante quell’avventurosa esperienza del nostro gruppo di studio, fu possibile storicizzare e dare un più puntuale contenuto a quelle espressioni precedentemente utilizzate di ‘mondo contadino’ o, ancor più, di ‘civiltà contadina’. In estrema sintesi, si può dire che, proprio grazie agli elementi evidenziati dallo studio dei Sassi, potemmo prendere consapevolezza dell’esistenza, in quel mondo, di un nucleo persistente ed essenziale di valori, che, se ben difesi, avrebbero potuto costituire un preziosissimo strumento per una fisiologica e reale modernizzazione di quel mondo. Tra quei valori, un ruolo preminente lo attribuimmo al senso di comunità, a quello di solidarietà nei momenti di emergenza e, non ultimo, all’ormai più che sperimentata capacità di affrontare, subire e, ove possibile, anche superare le infinite difficoltà continuamente proposte a quelle popolazioni”.
Sulla base del materiale del gruppo di studio Friedmann, venne definita la migliore ubicazione del costruendo borgo residenziale in località La Martella (denominazione che richiamava la folta presenza di un aromatico arbusto sempreverde detto la mortella, cioè “il mirto”). I rilevamenti e i sondaggi diretti dettero essenziali indicazioni di carattere economico, demografico e psicologico sulla struttura e i bisogni delle famiglie da trasferire. Infine, tutti i risultati dello studio costituirono l’utile premessa per dare al nuovo insediamento una stabile e razionale struttura economico-sociale. Furono infatti acquisiti nel Programma di risanamento dei Sassi, previsto dalla legge 17 maggio 1952, n. 619 (detta “Legge Colombo”), e nella redazione del Piano regolatore comunale approvato in quegli anni.
L’INNOVAZIONE BLOCCATA DALLA CONFLITTUALITA’ POLITICA
Ma, accanto a questi indubbi successi, lo studio registrò anche una sconfitta, determinata da alcune circostanze che non si potevano prevedere. Il Programma di risanamento fu attuato solo in parte. Oltre “La Martella”, nessun altro borgo si costruì, ma solo qualche quartiere urbano, difficilmente fruibile dalla popolazione ancora prevalentemente agricola. Anche a “La Martella”, non pochi furono gli ostacoli frapposti alla completa realizzazione delle indicazioni fornite dal gruppo di studio.
Fu soprattutto l’Ente per la riforma fondiaria in Puglia, Lucania e Molise a creare problemi. Il borgo ideato da Ludovico Quaroni contrastava nettamente con la concezione che Nallo Mazzocchi-Alemanni aveva dato a tutti i borghi da lui progettati nei comprensori di riforma fondiaria.
Mazzocchi-Alemanni era contrario ai borghi aperti perché voleva che i contadini fossero controllati. La paura – non tanto implicita – era che si ravvivasse lo spirito di protesta dei contadini che c’era stato al momento delle occupazioni di terra, e che era stato importante non solo dal punto di vista sociale, ma soprattutto dal punto di vista culturale, psicologico perché il contadino aveva capito che poteva, anzi doveva ribellarsi. Da qui nasceva dunque la volontà politica di controllare i contadini, sparpagliandoli in modo che non fossero uniti e che non potessero determinare un elemento di contestazione.
Quaroni, invece, si era attenuto ad una serie di criteri individuati nel gruppo di studio. Innanzitutto, quello di far coincidere l’attribuzione dei nuovi alloggi con l’assegnazione di terra da parte dell’Ente riforma così da attuare una sorta di ricomposizione fondiaria dei vari appezzamenti a qualunque titolo prima coltivati o, quando realizzabile, all’assegnazione di una unica quota ex novo. L’altro criterio era quello, sempre ove possibile, di ricomporre a “La Martella” quella particolare modalità di vita prima esistente nell’insediamento originario, individuata come “vicinato”, in modo da agevolare comportamenti di tipo “comunitario”. Infine, quello di favorire, sia pure entro certi limiti, la coesistenza di famiglie più anziane con quelle più giovani.
I criteri formulati da Quaroni restarono sulla carta. Ma soprattutto si impedì che i primi cinquanta alloggi venissero assegnati a nuclei familiari la cui condizione abitativa nei Sassi era più precaria. Inoltre, l’assegnazione degli alloggi fu fatta senza tener conto anche delle esigenze minimali di funzionamento del borgo (falegname, muratore, fornaio, ecc.). E la cosa più grave fu che alcuni centri di potere politico e religioso locali imposero all’UNRRA-CASAS il ritiro del servizio sociale, così da far mancare agli assegnatari un accompagnamento alla risocializzazione e all’adattamento alle nuove esigenze di vita e di lavoro. E questo perché alcune iniziative degli assistenti sociali non erano gradite da questi centri di potere.
Come tante altre esperienze di avanguardia che in quegli anni si ebbero nel Sud, anche questa è rimasta tra le occasioni mancate di uno sviluppo che poteva essere diverso.

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