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Donne che hanno trasformato le campagne

Testimone e protagonista dei “Trenta gloriosi” (1945-1975), Edda Vergara rendiconta il suo impegno sindacale, sociale e professionale. Una storia di vita come seme d'avvenire

Vergara

Il prezioso libro di Edda Vergara (“La bambina che parlava ai canarini. Memorie di una ultraottantenne”, 2022) è composto di numerosi racconti, tra autobiografia, saga familiare e storia delle mentalità, con un ricco corredo di poesie e immagini fotografiche. I racconti sono in sé compiuti ed autonomi e s’intrecciano con la cronaca del tempo, lungo l’arco di oltre un secolo.

 

A seconda degli interessi del lettore, le singole memorie si possono a piacimento riaggregare per temi, dando vita a tante opere distinte. Così, il cercatore di aneddoti gustosi sul modo di vivere dei nostri nonni e genitori troverà un ampio repertorio a cui attingere. E la stessa cosa potrà accadere a chi è interessato agli aspetti religiosi o educativi delle società che hanno preceduto la nostra.

 

Quando ho finito di leggere l’intero lavoro di Edda Vergara, mi sono divertito anch’io a scomporre e ricomporre i tasselli. E ne ho ricavato pagine di storia della campagna napoletana, ma anche della Coldiretti, presso cui si sono realizzate le esperienze sindacali e professionali più significative dell’autrice.

 

Edda nasce a Sant’Antimo in una famiglia di agricoltori, settima di dieci figli. La sua casa era stata costruita dal bisnonno paterno poco distante dalla grande masseria dove egli, nativo di Frattamaggiore nel 1825, aveva ripreso il suo lavoro di coltivatore di canapa e frutteti con l’aiuto di braccianti ed operai dei paesi limitrofi.

 

In quella casa era vissuto nonno Antimo ed erano rimasti con lui i genitori di Edda quando si sono sposati.  Essi formavano una coppia splendida: il padre sapeva fare tante cose, oltre i lavori agricoli, tra cui cucinare e sbrigare le faccende domestiche; la madre curava maggiormente le relazioni esterne, con studi medici e legali, uffici pubblici, negozi, e coltivava i rapporti di amicizia. Consideravano i dipendenti persone di famiglia. Curavano i doveri di ospitalità con fervore sacrale. In occasione della festa patronale che durava più giorni, accoglievano i numerosi parenti che venivano dai paesi vicini. Mentre nelle serate invernali, attorno all’enorme focolare della grande cucina, facevano spazio a coinquilini e vicini che venivano a prendersi un po’ di brace o semplicemente a chiacchierare. Il padre, che era la bontà in persona, raccontava le favole ai bambini, che lo ascoltavano estasiati.

 

Una volta, la madre, che era andata a Trani a trovare suo figlio presso l’Istituto dei Padri Rogazionisti, senza pensarci due volte invitò a Sant’Antimo, per la festa del patrono, i seminaristi e i sacerdoti, un centinaio di persone. E il padre, quando lo seppe dalla moglie, fu ben lieto di ospitare la numerosa comitiva, preparando il pranzo e accompagnando i commensali al santuario. L’insolita presenza di tante persone in abito talare restò, per lungo tempo, nella memoria dei compaesani.

 

All’età di tre anni, Edda andò a vivere con la sorella maggiore presso un prozio, rimasto vedovo e solo, in una grande villa a Portici. E vi restò fino ai quattordici anni. Non risentì del cambiamento di vita: il contesto urbano in cui andò ad abitare non si contrapponeva a quello rurale, ma tra l’uno e l’altro si erano create nel tempo forme varie di integrazione. Era, infatti, Giovanni il capraio, con il suo gregge, a girare per la città e portare ogni mattina in villa la bottiglia di latte appena munto. Mentre, nelle belle giornate, era il prozio ad accompagnare la nipote a comprare caciotte a casa di Giovanni nell’agro di Resina. E nel terrazzo della villa c’era il pollaio, a piano terra la stalla per il cavallo. In fondo al giardino, c’era il pozzo che aveva dato l’acqua sorgiva fino a quando questa era arrivata nelle case a mezzo delle condutture dell’acquedotto del Serino. Ora il pozzo serviva a “controllare gli umori” del Vesuvio.

 

La Vergara si educò, nel decennio porticense, a scrutare i paesaggi agrari e a godere la brezza marina, passeggiando sul Molo del Granatello mentre rientravano le barche con il pescato. Imparò anche a “parlare” con galline, gatti, canarini e qualunque essere vivente le capitasse di incontrare. Le opportunità della vita urbana arricchivano così il suo bagaglio di esperienze fatte in campagna nella prima infanzia.

 

Ma un giorno, quando si era appena diplomata all’istituto magistrale e aveva incominciato a frequentare l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, Edda incontrò casualmente Alba Gargiulo, delegata provinciale del “Movimento Donne rurali” della Coldiretti, che la convinse a seguirla nel suo impegno sindacale. E nacque subito, tra le due donne, un sodalizio molto intenso che andava oltre il lavoro, fino a coinvolgere le loro famiglie e le loro vite.

 

Alba era una persona affascinante. Frequentava il quarto anno di medicina per seguire le orme del padre medico quando, a seguito della morte dello zio che l’aveva adottata, dovette lasciare gli studi e dedicarsi alla gestione del suo patrimonio terriero nel casertano. L’incarico nella Coldiretti era vissuto come una “missione laica” a favore di una categoria considerata socialmente marginale.

 

Edda incominciò a restare nell’ufficio di Napoli tutta la mattinata del lunedì. Mentre nei fine settimana, andava insieme ad Alba, nelle sedi comunali, per incontrare le socie su appuntamento, conoscersi e ascoltare i loro problemi.

 

La delegata nazionale delle “Donne rurali” era Emma Schwarz, un’assistente sociale di Smarano della Val di Non, che si era specializzata in Psicologia all’Università Cattolica di Milano. Proveniva dall’Azione Cattolica, di cui era stata, negli anni dell’Università, responsabile del Movimento Gioventù Femminile. Era amica di Chiara Lubich, anche lei trentina, con cui condivideva una forte spiritualità alla base del proprio impegno sociale.

 

Tra il 1952 e il 1953, secondo uno schema organizzativo speculare a quello dell’Azione Cattolica, la Coldiretti aveva dato vita ai Gruppi Giovani Rurali e ai Gruppi Donne Rurali. I primi furono affidati all’astigiano Giovanni Rainero, che svolgeva un compito analogo nell’Azione Cattolica, mentre la direzione dei Gruppi Donne Rurali fu assegnata a Emma Schwarz.

 

L’innovazione organizzativa rompeva la presenza monolitica degli uomini nella struttura dirigenziale della Coldiretti. Vero è che giungeva in evidente ritardo rispetto al processo di democratizzazione avviato con l’allargamento del voto alle donne nelle elezioni del 1946. E che i Gruppi erano di fatto un’organizzazione separata per struttura e funzioni (tant’è che Schwarz entrerà nel Consiglio nazionale della Coldiretti soltanto verso la metà degli anni Sessanta). Ma l’apertura alle donne fu dirompente perché metteva in discussione mentalità e modelli gerarchici che provenivano dall’esperienza delle “massaie rurali” del periodo fascista.

 

Gargiulo e Vergara partecipavano più volte all’anno ai corsi organizzati a Roma da Schwarz e non si perdevano mai l’appuntamento più importante della Coldiretti: il congresso di primavera presieduto dal presidente Paolo Bonomi, con l’affluenza di migliaia e migliaia di coltivatori. Erano, inoltre, impegnate nel programma di alfabetizzazione, organizzando corsi pomeridiani e serali televisivi, e nei “Club Tre P” (Provare, Produrre, Progredire). Si trattava di programmi per sperimentare tra i giovani coltivatori e i loro familiari le novità tecnico-agronomiche diffuse nelle grandi aziende statunitensi. Ricalcavano, infatti, il modello americano dei “Club 4H” (Head, Heart, Hands and Health) che Bonomi aveva importato in Italia nell’ambito dei programmi di scambio culturale con gli Stati Uniti (International Four-H Youth Exchange).

 

La specialità di Edda era quella di suggerire ai partecipanti come trasformare l’ambiente abitativo per renderlo più vivibile. Non bastava saper guidare un trattore o usare bene i fitofarmaci per progredire. Bisognava anche saper creare, nelle piccole case rurali, un ambiente notte, separandolo dal resto. E abbellire gli armadi e le suppellettili con stoffe e altri materiali di riciclo, anticipando la moda del patchwork, tecnica di derivazione americana, che si diffonderà in Italia negli anni novanta.

 

Nel libro si raccontano vicende di donne, come Carmela Foglia e Angela De Gennaro di Visciano, che escono dalla propria condizione subalterna nella famiglia agricola e si realizzano, studiando e perseguendo le proprie ambizioni professionali. Molte assumono la guida dell’azienda agricola di famiglia e lo fanno combattendo pregiudizi e ostilità degli uomini.

 

Sono gli anni in cui inizia quello che gli studiosi hanno definito “processo di femminilizzazione delle campagne”, un fenomeno che nasceva dai repentini mutamenti economico-sociali dell’epoca e che spesso non viene compreso nella sua complessità. La rilevanza delle donne in campagna aumenta significativamente contro una presenza maschile ridottasi di quasi la metà a causa dell’esodo verso le città e il cosiddetto “triangolo industriale”.

 

Numerose sono le donne che assumono il ruolo di capofamiglia, diventando così soggetti visibili anche nelle rilevazioni statistiche. Tra il 1954 e il 1964 le coltivatrici aumentano da 1 380 000 a 1 634 000. Non è un segnale regressivo, com’è stato affermato con superficialità, ma l’emergere di un dinamismo del settore agricolo dovuto ai processi di modernizzazione che investono l’agricoltura.

 

Sono le dirigenti che, nelle organizzazioni agricole, guidano le strutture dedicate alle donne a occuparsi di questo fenomeno inedito. E vivendolo a diretto contatto con le protagoniste, sanno come orientarlo verso un reale cambiamento, mettendo al centro delle proposte politiche per lo sviluppo la difesa della dignità delle persone e la costruzione del welfare. Un compito non facile che esse svolgono, affrontando con intelligenza e determinazione diffidenze e malevolenze.

 

Il 1960 è per Edda l’anno delle scelte. Sostituisce Alba come delegata provinciale delle Donne Rurali. Candidata nella lista della Dc in quota Coldiretti, viene eletta nel consiglio comunale di Sant’Antimo. Ma dopo due anni si dimette. Attivissima e piena di entusiasmo, non resiste ai ritmi lenti e estenuanti della politica: lunghe e inconcludenti riunioni in cui il confronto si sbriciola in ostruzionismi e rinvii. Nello stesso anno, Emma Schwarz le propone di trasferirsi a Roma per lavorare nella sede nazionale. Ma Edda fa cadere l’opportunità che le viene offerta. Si era impegnata sentimentalmente con Tonino che frequenta il secondo anno di università e deve attendere che si laurei per sposarlo.

 

Anche queste scelte, che possono sembrare rinunciatarie, in realtà segnalano un carattere forte e volitivo e una capacità non comune di seguire con coerenza la propria strada: il “coraggio di attendere”. Edda concluderà l’attività lavorativa come dirigente presso l’ASL 3 di Napoli.

 

Il libro di Edda Vergara si legge con piacevolezza lungo la trama di temi e tempi diversi che si dipana come la pellicola di un film. Scrittrice pluripremiata, presente in molte antologie, l’autrice offre al lettore una felice testimonianza della sua vocazione letteraria. Testimone e protagonista dei “Trenta gloriosi” (1945-1975), rendiconta il suo impegno sindacale, sociale e professionale, mettendo in luce, con schiettezza e naturalezza, le difficoltà incontrate nei percorsi compiuti, la complessità delle trasformazioni con cui si è avuto a che fare, la gioia tranquilla di ricordare i tasselli di una vita pienamente vissuta.

 

Il libro “La bambina che parlava ai canarini. Memorie di una ultraottantenne” si può acquistare su Amazon

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