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Mondi periferici che si fanno comunità

Il primo passo per uscire dalla condizione in cui questi mondi si trovano è infondere nelle persone e nelle comunità locali un senso di sé, una cittadinanza fatta di protagonismo attivo. La democrazia si afferma premendo dal basso. Non è mai un regalo dei vertici sociali. È fatta di autogoverno, autosviluppo, autoapprendimento collettivo, osmosi costante tra saperi esperienziali e conoscenza tecnico-scientifica. La democrazia è innovazione sociale che si produce mediante percorsi partecipativi di sviluppo locale

torpignattara

Non esistono più periferie che si contrappongono ai centri. Ci sono invece gruppi umani, sparsi per tutto il globo, che sono presenti nella storia eppure ne restano fuori. Se venite a Tor Pignattara, vedrete un mondo periferico presente, formicolante e vivo. Eppure l’ufficialità lo considera un combustibile inerte, come se esso non decidesse il proprio destino, ma fosse sempre in passiva attesa che la fiamma lo investa dall’alto secondo disegni e decisioni imperscrutabili.

Questi mondi non sono decifrabili in base alla logica delle classi sociali o alla condizione di povertà o ricchezza rapportata al mero parametro del reddito. Oggi la condizione di povertà coincide con la mancanza di prospettive per superare la povertà stessa, con orizzonti che progressivamente si chiudono sempre di più. 

Questi mondi sono fatti anche di immigrati extracomunitari. In essi non c’è solo la prima generazione che puntava sui mezzi elementari di sopravvivenza, andava al sodo, cercava di adattarsi, tentava di dimenticare le radici e di cambiare addirittura il nome, come atto di suprema gratitudine al paese ospitante. Adesso ci sono la seconda e la terza generazione che hanno visto i padri ricattati per fame dal paese ospitante e lamentano l’assenza della loro cultura originaria nei corsi scolastici, si sentono discriminati nell’abitazione, nel lavoro. Riscoprono le loro antiche radici, la loro lingua, la cultura tradita dai padri.

Ogni mondo periferico è un mondo a sé e va studiato in modo specifico senza trarne generalizzazioni che sono sempre fuorvianti.

Il primo passo per uscire dalla condizione in cui questi mondi si trovano è infondere un senso di sé, una cittadinanza fatta di protagonismo attivo. La democrazia si afferma premendo dal basso. Non è mai un regalo dei vertici sociali. È fatta di autogoverno, autosviluppo, autoapprendimento collettivo, osmosi costante tra saperi esperienziali e conoscenza tecnico-scientifica. La democrazia è innovazione sociale che si produce mediante percorsi partecipativi di sviluppo locale.

Soprattutto di fronte all’immigrazione extra-comunitaria occorre un concetto più ampio di cittadinanza. Dobbiamo educarci tutti ad assumere un atteggiamento multiculturale e transculturale in cui, a poco a poco, impariamo ad essere, nello stesso tempo, abitanti del quartiere, appartenenti ad una comunità locale definita geograficamente e cittadini del mondo, alla luce dell’unico imperativo etico a portata universale: tutti gli esseri umani sono esseri umani e come tali vanno trattati.

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