Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

La vocazione del politico weberiano

Solo chi è sicuro di non spezzarsi se il mondo, dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per quel che gli vuole offrire, solo chi di fronte a tutto ciò è capace di dire "eppure!", solo costui ha la vocazione per la politica

2004fall_max-weber-a-compulsion-for-work

Rileggere La politica come professione di Max Weber è sempre emozionante. Si tratta di una delle due conferenze tenute dal pensatore tedesco su richiesta dell’Università di Monaco di Baviera tra il 1918 e il 1919.  L’altro discorso ha per titolo La scienza come professione. I testi conservano, pertanto, l’immediatezza della parola parlata. E sono particolarmente efficaci perché sono diretti a giovani congedati dal servizio militare, profondamente scossi dalle esperienze della guerra e del dopoguerra.

Le due opere vennero tradotte per la prima volta in Italia da Antonio Giolitti nel 1948 (quando ancora il giovane politico militava nel Pci) in un volume dei “Saggi” Einaudi,  impreziosito da un’importante introduzione di Delio Cantimori. Il titolo del libro era Il lavoro intellettuale come professione.

Il termine “professione” (Beruf) va chiarito.  In tedesco la parola Beruf ha due significati distinti: Beruf è la professione, ma anche la vocazione; è il lavoro svolto secondo regole specializzate, ma anche la dedizione  a un fine cui ci si sente chiamati.

Passione e responsabilità

Ma veniamo al testo  de La politica come professione. Cosa fa di una persona un politico? Per il grande sociologo la risposta è fulminante: “Il prender partito, la lotta, la passione, la propria esclusiva responsabilità per ciò che si fa; responsabilità che non si può e non si deve negare o rovesciare su altri”. Insomma, ira et studium (rabbia e zelo).  “Passione nel senso di identificazione con un oggetto, appassionata dedizione a una cosa o causa, al dio o al demone che la comanda”. Chi fa politica deve avere una passione, una grande passione di affrontarla con la serietà di un religioso.

Certo, precisa Weber, la passione politica non è “sterile eccitazione” alla Simmel, vuoto romanticismo rivoluzionario.  La passione o il servizio alla causa deve sempre accompagnarsi alla responsabilità nei confronti di tale causa quale stella polare del proprio agire.

Capacità di valutazione

L’altra qualità decisiva del politico è la capacità di valutazione: “l’occhio, la capacità di lasciar operare su di sé le realtà nella calma del raccoglimento interiore, quindi la distanza verso cose e uomini”. L’ardente passione deve saper convivere con la fredda valutazione. Per questo il politico deve vincere un nemico mortale sempre in agguato: la vanità. Un nemico che distoglie dalla capacità di distanza da se stesso nel valutare le cose.

Potere e servizio

Il politico per Weber deve avere l’istinto della potenza per poter aspirare al potere. Un politico che non ambisce al potere non è un politico. Ma questo suo tendere al potere deve sempre legarsi al servizio di una causa e ad una passione nel servire esclusivamente una causa.  “Proprio perché il potere è il mezzo indispensabile, e quindi l’aspirazione al potere una delle forze motrici della politica, non c’è deformazione più dannosa per la forza politica dello sfoggiare il potere come un parvenu e del vanitoso autocompiacimento nel senso di essere potente, e, in genere, di ogni adorazione della potenza come tale”.  Solo il servizio esclusivo ad una causa giustifica nel politico l’aspirazione al potere e il suo esercizio.

E a questo punto del testo viene un passaggio bellissimo di Weber che riporto per intero: “Quale debba apparire la causa al cui servizio il politico vuole potere e usa potere, è una faccenda di fede. Può servire scopi nazionali o umanitari, sociali ed etici o culturali, intramondani o religiosi, può essere sostenuta da una forte fede nel progresso (in qualunque senso del termine) o respingere freddamente  questo tipo di fede, può pretendere di essere al servizio di una idea o voler servire finalità esteriori  della vita quotidiana, rifiutando per principio pretese ideali –  in ogni caso ci deve essere una qualche fede. Altrimenti la maledizione della nullità di ogni realtà creaturale  cade anche sui successi politici esteriormente più solidi”.

L’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità

L’ethos della politica come causa mette in contrapposizione due concezioni del mondo ultimative, tra le quali alla fine occorre scegliere: etica dell’intenzione ed etica della responsabilità. Weber precisa che questa distinzione non vuol dire che l’etica dell’intenzione sia identica a irresponsabilità e l’etica della responsabilità sia identica a mancanza di principi. Ma c’è un contrasto nettissimo  a seconda che si agisca  sotto la massima dell’etica dell’intenzione,  cioè parlando in termini religiosi: “Cristo è giusto e le conseguenze sono nella mente di Dio”, oppure si segua l’etica della responsabilità, cioè si è responsabili delle conseguenze (prevedibili) del proprio agire. Egli dirà: le conseguenze saranno imputate al mio agire. Invece, il seguace dell’etica dell’intenzione si sentirà responsabile solo per il fatto che la fiamma della pura intenzione, per esempio la fiamma della protesta contro l’ingiustizia dell’ordinamento sociale, non si spenga.  Riaccenderla continuamente è lo scopo delle sue azioni, del tutto irrazionali se valutate dal punto di vista del possibile successo,  e che devono e possono avere solo valore esemplare.

Il sindacalista seguace dell’etica dell’intenzione

Il pensatore ricorre ad un esempio concreto per far comprendere il senso dell’etica dell’intenzione: “Avete voglia a spiegare ad un sindacalista convinto seguace dell’etica dell’intenzione che le conseguenze del suo fare saranno l’aumento delle possibilità di reazione, aumento della repressione della sua classe, freno al miglioramento della sua condizione”. “Non gli farete nessun effetto”, aggiunge Weber. E prosegue: “Se le conseguenze di un agire in base a pura intenzione sono cattive, (quel sindacalista) ritiene responsabile di ciò non chi agisce, ma il mondo,  la stupidità degli altri uomini, oppure la volontà del dio che l’ha creato così”.

Il politico non si spezza

In conclusione, per Max Weber fare politica è “come forare con forza e a lungo dure tavole, con passione e precisione insieme”: “solo chi è sicuro di non spezzarsi se il mondo, dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per quel che gli vuole offrire, solo chi di fronte a tutto ciò è capace di dire eppure!, solo costui ha la vocazione per la politica”.

RelatedPost

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>