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No all’autarchia. Sì all’agricoltura 4.0

Per un'agricoltura sostenibile servono scienze e tecnologie

agricoltura

La Francia invoca il ritorno al lavoro nei campi. Il ministro dell’Agricoltura, Didier Guillaume, ha lanciato un appello «all’esercito di uomini e donne», che «non hanno più un’attività» a causa della crisi del coronavirus, a «unirsi al grande esercito dell’agricoltura francese» in cerca di manodopera. Il rappresentante del governo d’Oltralpe invita, inoltre, i cittadini del suo Paese a «mangiare francese». Anche in Italia è scattato lo slogan «consuma italiano» di vecchia scuola reazionaria. Dapprima, lo ha utilizzato il Fronte della Gioventù. Oggi se lo contendono un po’ tutti, da Forza nuova al Pd. Quando si ha paura,  la prima cosa che viene in mente è chiudersi a chiave entro i confini nazionali, al sicuro. Per questo fa presa l’idea di «tornare alla terra» e di «mangiare cibo a chilometro zero».

Ma l’autarchia non funziona in questo mondo complesso, tanto meno quella agricola. I prodotti che noi mangiamo, anche quelli tipici, contengono lavoro che si svolge in ogni area del pianeta. I concimi sono francesi come marchio, ma la materia prima (fosforo, potassio) viene da miniere sudamericane. Le macchine agricole sono assemblaggi di più pezzi e vengono da varie parti del mondo. I semi, cioè la genetica, che permette buone prestazioni, non sono sempre roba nostra, più spesso francese o israeliana. Anche il letame viene da fuori. Le vacche sono acquistate in altri Paesi e hanno genetica ibrida: seme di toro canadese o altro. Gran parte degli alimenti, soprattutto quelli proteici, che gli animali ruminano vengono dal Sudamerica. Insomma, non ci conviene l’autarchia: passeremmo inesorabilmente dalla pandemia da Covid alla carestia, che è ancor più tragica del flagello virale.

È possibile per l’Italia raggiungere l’autosufficienza alimentare? No, servirebbero molti anni ed un’agricoltura superintensiva. Abbiamo solo 1600 mq a testa di terreni arabili, contro i 4000 degli USA. Quello che possiamo fare è raggiungere l’obiettivo di un’agricoltura sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Ma servono più scienze e più tecnologie. Ci vuole un’agricoltura 4.0., quella di precisione, dei robot, dei droni, del digitale, della blockchain, dell’uso integrato della chimica di sintesi fortemente controllato, delle nuove biotecnologie: transgenesi, cisgenesi, intragenesi, ZFN, Talen, CRISPR, Prime Editing, ecc. Si tratta di una “cassetta degli attrezzi” che potrebbe enormemente facilitare la sostenibilità agricola.

L’agricoltura 4.0 si pone obiettivi seri: bassi costi, meno sprechi e, in generale, riduzione delle risorse utilizzate. L’agricoltura di precisione consente di smontare il campo in micro campi da mappare con satelliti, droni e altri tipi di sensori. Alla fine, integrando i dati vengono fuori bellissime mappe colorate per poter fare operazioni mirate. Se queste tecnologie fossero utilizzate da una fattoria sociale, potrebbero costituire un valido strumento per inserire le persone svantaggiate nei processi produttivi agricoli: individuando le operazioni colturali corrispondenti alle loro attitudini e ai loro bisogni.

Le filiere agroalimentari fondate sulla sostenibilità sociale e ambientale potrebbero, inoltre, applicare la blockchain per monitorare e verificare i propri progetti. Se si sviluppasse nei consumi alimentari il mercato delle informazioni sul rating sociale e ambientale (applicando la blockchain) e i cittadini-clienti fossero consapevoli e decidessero tutti insieme di “votare col portafoglio” per le imprese migliori, il caporalato potrebbe sparire dalle campagne italiane. Non è un’esagerazione. Vincerebbero, infatti, le imprese tecnologicamente più avanzate che hanno meno bisogno di puntare al ribasso sul costo del lavoro. Il caporalato si sconfigge con l’innovazione e con le tecnologie. Esso alligna dove l’agricoltura non ha più continuato ad ammodernarsi.

I vantaggi della blockchain sono principalmente legati alla possibilità di tracciare ogni singola fase del percorso “dalla terra alla tavola” senza più carte e documenti, né archivi centralizzati. Si creano, invece, tanti registri distribuiti, pubblici e sincronizzati che tracciano, passo dopo passo, tutti i dati relativi al processo: origine della materia prima, stabilimento di lavorazione, distributore, centro di stoccaggio, eccetera. Tutte le informazioni sono consultabili tramite un QR code. Anche il consumatore, mentre fa la spesa, può accedere a tutti i dati utilizzando il proprio smartphone.

Naturalmente possiamo in questo momento di difficoltà dare una mano agli agricoltori a coltivare e a raccogliere, ma chi vuole davvero impegnarsi in agricoltura si formi sulle nuove applicazioni tecnologiche che permettono al settore di rendersi sostenibile.  Dobbiamo sicuramente, in questo momento di difficoltà, partecipare alle reti che si stanno costruendo per accorciare le filiere e sostenere i produttori che sono più vicini alle nostre residenze. Ma bisogna stare attenti a non fare confusione sul concetto di prossimità.

Nelle culture che si sono succedute e sovrapposte nell’area del Mediterraneo, l’idea di vicinato e di prossimità non ha mai avuto a che fare con la geografia o con le appartenenze di qualsiasi tipo, ma sempre coi doveri di reciprocità nei confronti degli altri. Nelle culture che si sono formate intorno al “Mare Nostrum”, prossimo è colui che si prende cura e si fa carico dell’altro, indipendentemente dalle distanze fisiche e dai legami etnici, politici, religiosi e culturali. Prossimo non ha nulla a che vedere con il chilometro zero o il chilometro mille, con il brand di un’associazione o con quello di un’altra, con la bandiera di una nazione o con l’emblema di un’altra, ma ha a che fare con il grado di “intimità” o superficialità delle relazioni che le persone, le imprese e le comunità costruiscono tra di loro per convivere e collaborare.

Le tecnologie digitali oggi fanno miracoli nel permettere la costruzione di relazioni “intime” tra imprese e territori di regioni e Paesi anche molto lontani. L’applicazione di tali ritrovati tecnologici consentirebbe di cogliere meglio le opportunità della globalizzazione. Non c’è contraddizione tra reti di imprese che guardano ai mercati internazionali e filiere corte. Entrambe le forme possono coesistere e interagire per mettere radici nei territori e allungare i rami verso il mondo.

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