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Le vacanze di Natale sono finite

Un week end o una vacanza, per essere pienamente momenti di riposo e di libertà creativa, dovrebbero essere dedicati alla meditazione, all'intimità e alla contemplazione: fermarsi, lontano dal trantran quotidiano, per amare e pensare, nel silenzio e nell'isolamento. Così acquista un senso l'astenersi dal lavoro

Andrej Rublëv, Icona della Trinità

Andrej Rublëv, Icona della Trinità

Sono finite le vacanze di Natale e si torna alle normali attività. Quali riflessioni suscita la vacanza? cosa è, effettivamente, questo tempo della nostra vita? come lo percepiamo? da quando esiste? È sicuramente una categoria che appartiene alla modernità, benché il concetto abbia radici antiche, rintracciabili addirittura nella Bibbia.

In apertura della Genesi, si parla infatti della vacanza del Creatore: “Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli, creando, aveva fatto” (Gn 2, 2-3).

C’era, dunque, nell’antichità un riposo non solo legittimo ma benedetto e avallato da un comandamento esplicito del Decalogo e legalmente tutelato nella tradizione giudaica: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te” (Es 20, 8-10).

Nel calendario biblico figurava anche l’anno sabbatico che ricorreva ogni sette anni: “Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore: non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dal seme caduto nella tua mietitura precedente e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata: sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento quanto essa produrrà” (Lv 25, 3-7).

Non esisteva solo l’anno sabbatico ma anche l’anno giubilare: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sara per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia” (Lv 25, 10).

Certo, il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo che ci restituiscono le sacre scritture non avevano nulla a che vedere con le nostre vacanze. Ma una cosa hanno in comune: l’astensione dal lavoro. Per il resto, la vacanza biblica ha un significato religioso con risvolti sociali importanti: l’anno giubilare si svolge all’insegna dell’equità: chi si è arricchito, accumulando beni in proprietà che non possedeva in origine, deve restituirli; l’anno sabbatico è l’anno dedicato al riposo della terra coltivata, con l’impegno a condividere coi poveri e i forestieri i frutti maturati spontaneamente; il sabato è il giorno della preghiera.

Ma, allora, gli ebrei quando riposavano? Nelle scritture ci sono personaggi biblici che quietamente stanno seduti all’ombra, soprattutto quando imperversa l’ardore del sole d’Oriente. Il capo-clan Abramo, ad esempio, è “seduto all’ingresso della tenda, presso le Querce di Mamre, nell’ora più calda del giorno” quando, alzando gli occhi appesantiti dalla siesta, vede i tre misteriosi personaggi che Andrej Rublëv trasfigurerà nella celebre icona della Trinità (Gn 18, 1-2). La figlia del faraone scende “al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo le sponde del Nilo”, e scopre tra i giunchi il cestello col piccolo Mosè frignante (Es 2, 5-6). La protagonista della scena d’avvio del Cantico dei Cantici, abbronzata dal sole, cammina lungo le piste del deserto e nei luoghi di sosta dei pastori mentre incombe il meriggio infocato e l’aria è rarefatta (Ct 1, 5-8). Gesù, “stanco del viaggio”, siede presso il pozzo di Giacobbe, nella valle che corre tra i due monti di Samaria, l’Ebal e il Garizim, quando arriva la samaritana ad attingere l’acqua (Gv 4, 6-7). A più riprese i vangeli segnalano che Cristo ama ‘staccare’ dalla pressione della folla, delle richieste di miracoli e dei discorsi. Un giorno, dice ai suoi discepoli: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. E il Vangelo di Marco continua: “Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte” (Mc 6, 31-32).

Il Cantico dei Cantici ci mostra un aspetto peculiare del riposo: il nesso esistente tra intimità e quiete. I due innamorati sono stretti l’un l’altro in mezzo alla natura: “La sua sinistra è sotto il mio capo, la sua destra mi abbraccia” (Ct 2,6; 8,3); “il nostro giaciglio è lussureggiante, travi della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto i ginepri” (Ct 1, 16-17). “Vieni, mio amato, usciamo in campagna, pernottiamo in mezzo agli alberi da frutta, andiamo all’alba nelle vigne, vediamo se la vite ha gemmato, se i boccioli si schiudono, se sono fioriti i melograni! Là ti darò le mie carezze!”(Ct 7, 12-13).

Il profeta Osea, che ha alle spalle una vicenda matrimoniale molto travagliata, quando sogna di poter ricostruire il legame con la donna amata, progetta una nuova luna di miele con un viaggio nelle solitudini aspre della steppa: “La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore…; là canterà come nei giorni della sua giovinezza”(Os 2, 16-17). L’intimità ha bisogno di quiete, di silenzio, di serenità.

C’è, dunque, per la Bibbia un tempo libero creativo, un immergersi nella quiete, soprattutto nella contemplazione del paesaggio. Recita il Salterio: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tua dita, la luna e le stelle che tu hai fissate…” (Sal 8, 4). Per cinque volte Gesù nel suo Discorso della montagna invita a “non affannarsi” e a fermarsi a guardare gli arabeschi dei voli degli uccelli nel cielo e lo splendore dei gigli del campo (Mt 6, 25-34).

Un week end o una vacanza, per essere pienamente momenti di riposo e di libertà creativa, dovrebbero essere dedicati alla riflessione e all’intimità: fermarsi, lontano dal trantran quotidiano, per amare e pensare, nel silenzio e nell’isolamento. Anche il viaggio, quando permette di contemplare i luoghi che si incontrano lungo la strada, favorisce la meditazione. Così acquista un senso l’astenersi dal lavoro.

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