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Il mito don Milani e la democrazia

Un libro di Mario Campli e Alfonso Pascale che intende offrire una chiave di lettura non scontata della vicenda che ha riguardato il prete di Barbiana

Copertina

Gli anniversari a volte si traducono in vacue celebrazioni. Dovrebbero essere, invece, occasioni per discernere quello che è ancora attuale nel pensiero e nell’opera di una personalità. Da questa ottica, a cento anni dalla nascita, il lavoro di discernimento del mito don Milani è solo agli inizi. Finora sono prevalse letture agiografiche e strumentali. Gran parte della sua esperienza e delle sue provocazioni era già ampiamente datata al momento della sua morte prematura. Purtroppo, il prete di Barbiana non fece in tempo a ridefinire la sua religiosità alla luce delle innovazioni del Concilio Vaticano II. In particolare, il suo sentirsi l’“uomo della verità”, il suo seguire l’”assoluto” gli impediva di fare i conti con la democrazia liberale. E tali limiti influenzavano anche le sue idee sull’istruzione e l’educazione. Una scuola di tutti e per tutti si ottiene certamente garantendo pari opportunità senza discriminazioni. Ma, allo stesso tempo, anche educando alla laicità, allo spirito critico, al dubbio, alla tolleranza e al pluralismo. Aspetti che non erano proprio nelle corde del prete fiorentino.

“Il mito don Milani e la democrazia” di Mario Campli e Alfonso Pascale, edito da Informat press,  intende offrire a coloro che non si fanno guidare dai pregiudizi e dal senso comune, una chiave di lettura non scontata della vicenda.

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