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Unioni civili: dibattere i problemi concreti

Per il laico l’unico criterio-guida dell’umano-naturale è la razionalità/ragionevolezza. Ed è questo il criterio che dovrebbe valere per tutti, credenti e non credenti. Anziché discutere di “diritti” in astratto, si dialoghi allora per trovare il modo di affrontare nel concreto i problemi reali che le persone vivono

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Oggi la famiglia ha tante forme ma a renderla tale sono l’intimità e l’educazione dei bambini, se ci sono. L’intimità si è fatta labile in una società sempre più estroflessa. Ma è nella famiglia che si sviluppa una relazione sessuale di particolare rilievo, finché dura. L’educazione dei bambini è rimasta appannaggio della famiglia, nonostante i diversi tentativi fatti nel Novecento di spostarla fuori da essa. Benché piena di tensioni emotive, la famiglia dimostra di essere il luogo migliore per l’educazione delle nuove generazioni, proprio per la dimensione dell’intimità che la caratterizza. E se intimità e affetto sono ciò che la contraddistingue non ci sono differenze se la coppia è gay oppure etero ma solo convivente.

Il cardinale Bruno Forte ha scritto domenica scorsa, sul Sole 24 Ore, che al riconoscimento dei diritti individuali, tra cui rientrano anche quelli di chi sceglie di costruire un patto di vita stabile con una persona dello stesso sesso, corrisponderebbe – in modo inseparabile – il rispetto dei diritti altrui e della “res publica” e dell’osservanza dei doveri che ciò comporterebbe. Fra questi doveri ci sarebbe il rispetto del dettato costituzionale, che all’articolo 29 afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.  Correlata a questa norma ci sarebbe il diritto dei figli a ricevere da chi ha dato loro la vita tutto il necessario per la sussistenza, la crescita, l’istruzione e l’educazione; diritto sancito dall’articolo 30 della Costituzione che afferma “il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. L’esigenza di rispettare queste due norme costituzionali giustificherebbero – per Bruno Forte – le riserve circa la cosiddetta “stepchild adoption”, l’adozione da parte del partner di una coppia omosessuale unita civilmente del figlio o dei figli dell’altro.

In realtà, una famiglia naturale non esiste. Da sempre la famiglia è una costruzione sociale, legale e normativa. Sono le norme che definiscono quali rapporti di sesso o di generazione sono familiari oppure no. Prima della norma non c’è nulla. E se si guarda alla famiglia da un punto di vista antropologico e storico, si scopre che il modo in cui questo processo normativo è avvenuto è variato molto nel tempo e nello spazio.  Ad esempio, un conto era la famiglia prima della riforma del 1975 che la regolamenta e un conto è quella successiva alla legge. Anche la negazione del diritto di voto alle donne era considerato un dato appartenente alla “natura delle cose”. Anche lo schiavismo era ritenuto un diritto naturale. Ma poi sono bastate delle leggi per modificare la situazione, scoprendo che quanto ritenuto naturale era soltanto una tradizione culturale.

La famiglia è un dato di cultura che va regolamentata in modo condiviso. Ma partendo dal presupposto che non esistono ambiti non negoziabili e che tutto può essere discusso con il dialogo fino in fondo e senza ergere muraglie ideologiche. Basta attenersi al criterio della laicità. Come scrive Gian Enrico Rusconi, “il concetto di laicità è un concetto forte, affermativo di autosufficienza conoscitiva della realtà dell’uomo e del mondo. Laicità è sinonimo di autonomia nella definizione delle norme del comportamento morale. Per il laico l’unico criterio-guida dell’umano-naturale è la razionalità/ragionevolezza”. Ed è questo il criterio che dovrebbe valere per tutti, credenti e non credenti.

Invece di discutere di “diritti” in astratto, si dialoghi allora per trovare il modo di affrontare nel concreto i problemi reali che vivono le persone. Adottare un bambino non è un diritto di nessuno, ma è un modo per affrontare un problema sociale. Si tratta di una procedura a beneficio di un minore da realizzare con grandi cautele per evitare danni irreparabili. E l’applicazione di tali cautele può e deve avvenire sia che si tratti di coppie eterosessuali che omosessuali.  Affrontare i problemi che nascono quando un bambino rimane orfano di un genitore o quando la sua famiglia eterosessuale si sfascia significa ledere il “diritto” di quel bambino ad avere un padre e una madre? Non c’è più quella coppia e nessun tribunale la può ricostituire. Quindi, parlare di quel “diritto” è un’astrazione. Si trovi il modo per affrontare quella situazione concreta anche facendo ricorso all’affetto che può essere reso disponibile da una persona dello stesso sesso del genitore superstite.

Si tratta di contemperare – come afferma in modo condivisibile Paolo Pombeni nella stessa pagina del Sole 24 Ore di domenica – l’esigenza di tutelare persone che si trovano in situazioni sociali presenti in modo significativo con quella di non costruire gabbie ideologiche che produrrebbero solo rigidità e, di conseguenza, ingiustizie di corto respiro.

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