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Il deficit di cultura liberale nei cattolici

L'ispirazione cristiana in politica e il liberalismo democratico potrebbero incontrarsi nel metodo della laicità inteso come pratica di dialogo e collaborazione tra visioni plurali che convivono nella società

Piazza_San_Pietro

 

Chi viene dal Pci sa bene (almeno si spera) quali siano l’ideologia e i miti di cui liberarsi: l’idea storicista della “riforma intellettuale e morale” di gramsciana memoria per portare a compimento una “forma superiore e totale di civiltà moderna”, il primato di tale idea rispetto all’obiettivo delle “riforme economiche e sociali”, l’”unità della sinistra” a prescindere dall’impianto programmatico dei soggetti in campo. Ma anche chi è cresciuto e vissuto nella Dc dovrebbe conoscere bene l’ideologia e i miti della propria cultura di provenienza. In Religione cattolica e stato nazionale. Dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale, Francesco Traniello definisce la vicenda del movimento cattolico italiano  come una originale esperienza di “statuto politico della religione”. Con un’ideologia ben precisa fatta di miti di cui occorrerebbe discutere. Solo affrontandoli di petto sarà possibile quella necessaria azione di smascheramento e demistificazione di armamentari culturali del tutto inservibili o dannosi nella contemporaneità. E per entrambe le culture, comunista e cattolica, questo percorso critico dovrebbe costituire un impegno di tutti. Tra gli attuali dirigenti del Pd che finora hanno dedicato impegno e passione su tali temi, vorrei ricordare Enrico Morando, Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti e Salvatore Vassallo.

Il progetto storico maritainiano

L’ideologia democristiana era fondata sul concetto che i cattolici in politica dovessero realizzare un “progetto storico” volto  a edificare una “nuova cristianità” sulle ceneri  della “vecchia civiltà occidentale cristiana”.  Tale idea è stata elaborata da Jacques Maritain. Il quale ha distinto un piano spirituale e un piano temporale di tale progetto e ha posto il primato del primo sul secondo. Secondo Maritain, nell’impegno temporale e nell’impegno politico va sempre salvato il primato dello spirituale, cioè della formazione interiore, intellettuale e morale.  L’autenticità della conversione spirituale è – secondo questo principio –  presupposto d’ogni presenza e d’ogni servizio cristiano al mondo.

Secondo lo storico Pietro Scoppola, il “progetto” maritainiano “ha svolto per i cattolici il ruolo che per altre aree culturali hanno svolto le ideologie”. Anche in esso, sebbene in misura diversa, sono presenti “l’idea e la pretesa che la storia degli uomini si possa prevedere e dominare nei suoi sviluppi  complessivi in un disegno di lungo periodo, che sia consentito all’uomo non solo dare una ‘risposta’ agli eventi, ma un più profondo ‘dominio’  degli eventi, legato alla possibilità di attingere ad un motivo unificante della storia nel suo svolgimento”.

Le riserve sul liberalismo e la democrazia

Soprattutto negli anni tra le due guerre, Maritain ha espresso forti riserve circa il ruolo che le democrazie liberali avevano svolto fino ad allora. Egli ha sostenuto: “C’è un errore liberale che fa consistere la libertà dell’uomo nell’indipendenza della sua volontà da ogni regola esterna […] che fa altresì consistere la giustizia delle relazioni tra gli uomini, non nella conformità alla legge divina, ma nel solo consenso fra le persone; o che fa infine consistere la libertà del pensiero nella sua indipendenza da ciò che è, e nel rifiuto di ogni magistero”. Un altro punto di critica è, invece, in fondo una polemica con l’essenza dello spirito democratico: “Pensare che il potere civile abbia la sua fonte principale non in Dio autore della vita, ma nella moltitudine”.

Una correzione rimasta in ombra

Solo tra il 1940 e il 1945, durante l’esilio negli Stati Uniti d’America, Maritain si è liberato delle riserve che egli aveva nutrito fino a quel momento nei confronti della democrazia e del liberalismo. Questa la sua testimonianza in Riflessioni sull’America (1958): “Effettivamente, proprio in America ho fatto autentica esperienza di quella che, tanto per intenderci, non è già un insieme di slogan astratti o un nobile ideale, ma una vera e propria maniera di vita umana, operante, perpetuamente sperimentata e perpetuamente ritoccata e corretta. Qui ho incontrato la democrazia come realtà vivente”.  Questo suo nuovo atteggiamento lo ha portato a rivedere molte sue idee precedenti. Ma le sue opere principali, tra cui Umanesimo integrale (1936), si  erano già, nel frattempo, molto diffuse.

Il confronto  De Gasperi – Dossetti

Durante gli anni della fondazione della Dc, della costituente e poi della rottura dell’unità antifascista e  del centrismo,  la cultura del “progetto storico” è stata al centro del confronto, a tratti aspro,  tra Alcide De Gasperi e il gruppo di giovani intellettuali che avevano in Giuseppe Dossetti la guida al tempo stesso spirituale, intellettuale e politica. De Gasperi, che si era formato prima del fascismo, nel Trentino asburgico e nella militanza popolare, era sostanzialmente estraneo a quella cultura, che invece aveva impregnato la formazione, inevitabilmente più astratta, della generazione più giovane, alla quale il fascismo aveva inibito ogni forma di impegno politico e sociale. Al centro del contrasto c’era il rapporto tra ispirazione cristiana in politica e cultura liberale con tutte le sue implicazioni: di politica estera, con la scelta atlantica ed europeista di De Gasperi, contestata dai dossettiani, più inclini a un certo neutralismo; e di politica economica e sociale, ove in questione era la concezione dello stato e del rapporto tra stato, mercato, società: liberal-pluralista nel caso di De Gasperi, mentre la nuova generazione era più assai incline a una concezione forte dello stato e a una robusta diffidenza nei riguardi del mercato.

Il “progetto storico” che ha ispirato l’azione politica dei cattolici è stato in larga misura smentito dalla realtà.  La “nuova cristianità” non si è affermata. Al suo posto, abbiamo avuto invece un lungo periodo di “secolarizzazione” della società. Senza un ripensamento critico, quella visione non fa altro che produrre nostalgia o resistenza, certo non visione aperta al futuro. E si traduce concretamente negli aspetti deteriori di quell’ideologia, di cui Maritain si era liberato durante l’esilio americano, ma i suoi epigoni in Italia hanno continuato invece a coltivare. E quali sono quegli aspetti deteriori? Fiducia nello stato (e nella spesa pubblica) e diffidenza per il mercato, la competizione, il merito, perfino l’autorganizzazione sociale in base al principio di sussidiarietà. È la sottocultura prodotta da un incontro mancato o, meglio, non adeguatamente pensato e assimilato: quello tra la coscienza religiosa  dei cattolici italiani e la cultura liberaldemocratica europea e occidentale.

La società post-secolare di Habermas

Lo iato tra religione cattolica e liberalismo andrebbe oggi assolutamente recuperato per favorire l’elaborazione di una nuova cultura politica del Pd. E questa operazione è più facilmente praticabile nel solco tracciato dal pensiero di Jürgen Habermas sulla società post-secolare. Idea che ha trovato il consenso di Joseph Ratzinger in un famoso dialogo tra i due studiosi risalente al 2004.  “Nella società post-secolare – ha sostenuto  il sociologo e filosofo tedesco – si giunge a conoscenza  che la ‘modernizzazione della coscienza pubblica’ comprende, in fasi diverse,  mentalità sia religiose che secolari e le trasforma riflessivamente. Se concepiscono insieme la secolarizzazione della società come un processo di autoapprendimento complementare, entrambe le parti possono  prendere sul serio reciprocamente, anche dal punto di vista  dei fondamenti cognitivi,  il loro contributo a temi controversi nella sfera pubblica”.

Da allora Ratzinger ha progressivamente attenuato la retorica dei “principi irrinunciabili” fino a non insistere più su tale tasto. Egli aveva avviato negli anni Ottanta una complessa operazione culturale per sdoganare, finalmente, le novità del Concilio Vaticano II all’insegna della continuità con la tradizione. Gruppi di studiosi di rilevanza internazionale si erano avviati a condurre una revisione storiografica del  rapporto fra tradizione cristiana e modernità ed a rivendicare alla Chiesa cattolica una funzione strategica e meriti nell’aver creato gli stessi presupposti della modernità e, in particolare, di quella libertà di coscienza che i popoli cristiani godono, ad esempio, rispetto alle nazioni islamiche.  Un modo per rilanciare in forme nuove un progetto egemonico. Il futuro papa Benedetto XVI aveva esorcizzato l’Illuminismo facendolo diventare paradossalmente una sorta di figlio – seppure impertinente e un po’ ribelle – del cristianesimo: “Anche l’ethos dell’Illuminismo, che tiene ancora insieme i nostri Stati, vive dell’influenza postuma del cristianesimo, il quale gli ha trasmesso le basi della sua razionalità e della sua struttura interna”. Ma quell’opera immane di revisionismo storiografico ha dovuto presto fare i conti con la questione islamica, a seguito dell’esplodere del terrorismo internazionale.  Supplisce in qualche modo l’attivismo di papa Francesco, con le sue novità e le sue contraddizioni, comprese le tendenze populistiche che gli derivano dalla sua esperienza latino-americana. E oggi non resta, dunque, che il realismo dell’approccio habermasiano.

Il metodo della laicità

Si tratta di affermare nella cultura politica del Pd il metodo della laicità inteso come pratica (con le sue procedure e e i suoi percorsi partecipativi) di dialogo e collaborazione tra visioni plurali che convivono nella società. E in tale pluralismo collocare le fedi e le religioni. La prima condizione perché ciò accada è che i credenti imparino sempre meglio a pensare il diritto, fondamento della politica, etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse, secondo la celebre formula di Grozio. Devono cioè imparare a confidare nella sola ragione, che del resto, nella fede cristiana, è essa stessa dono di Dio, logos umano che partecipa del logos divino. La sistematica applicazione di questa regola eviterebbe il cortocircuito integralista e la retorica infruttuosa sui principi non negoziabili. La seconda speculare condizione è che i non credenti, a loro volta, imparino sempre meglio a pensare il diritto, fondamento della politica, etsi Deus daretur, come se Dio ci fosse. Devono cioè imparare a considerare il diritto come una conquista storica  che non rinuncia a pensarsi come condizione di possibilità della libertà stessa. Attraverso questa regola, la libertà come principio di autodeterminazione  si apre alla responsabilità ed evita di ridursi  a egoismo individualistico.

Viviamo in società multiculturali e multideali complesse. Le appartenenze e le identità sono diventate molteplici e di natura diversa: territoriali, sociali, generazionali, sessuali, professionali, scientifiche, etniche, religiose, ideali, culturali. Attengono non solo a visioni del mondo ma anche, semplicemente, a specifici stili di vita e a modi distinti di relazionarsi, produrre e consumare. E tali antiche e nuove identità e appartenenze si sovrappongono nello stesso individuo e negli stessi gruppi, costituendo identità e appartenenze plurime.

Superare le intransigenze

Il metodo della laicità permetterebbe il confronto tra le diverse appartenenze e identità, il loro riconoscimento e la loro convivenza. Orienterebbe le appartenenze e le identità verso il superamento delle proprie chiusure e intransigenze e ad aprirle alla comprensione reciproca e alla cooperazione universale. Abbatterebbe i pregiudizi, gli stereotipi, i privilegi e le rendite di posizione, economiche e finanziarie, e affermerebbe le pari opportunità e le eguaglianze sostanziali. Smaschererebbe il conformismo e la menzogna e farebbe emergere la libertà e la sincerità. Aiuterebbe a contenere le paure, l’incertezza e il disagio e a stimolare il coraggio, l’intraprendenza, il saper fare e l’operosità.

La laicità non si contrappone all’identità perché è semplicemente un metodo. La incivilisce con la sua pratica e la fa evolvere nel cambiamento continuo globale. È per questo che “sinistra” e “destra” sono in futuro destinate a differenziarsi per il diverso grado di laicità della propria azione. La laicità è sinonimo di dinamismo, cambiamento e solidarietà. L’identità che resiste all’azione incivilente del metodo della laicità è sinonimo di conservazione, stagnazione ed egoismo. Più le pratiche laiche si affermeranno e più cresceranno l’apertura al diverso, l’inclusione sociale, l’interazione culturale, la vitalità sociale ed economica delle persone e delle comunità, le pari opportunità, e meglio potranno essere soddisfatti i nuovi bisogni. Meno le pratiche laiche si espanderanno e più si ergeranno i muri, si emargineranno gli ultimi, diventeranno esplosive le diseguaglianze.

 

 

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One Response to Il deficit di cultura liberale nei cattolici

  1. Mario Campli Rispondi

    17 agosto 2017 a 22:18

    I cortocircuiti nei quali finiscono oggi cattolici ritenuti da se stessi e da altri “progressisti” (vedi appena ieri nel referendum costituzionale e ancora in questi giorni e ore sul governo delle migrazioni ) sono la ennesima manifestazione della non aquisita consapevolezza del dovere della laicita': come metodo nella politica/governo della polis e come pensiero autonomo da pre-condizioni e pre-giudizi esterni al dibattito pubblico-democratico.

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