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Ci sarà ancora un destino per l’Italia?

Essere legati ai diversi territori di appartenenza è davvero una debolezza? Pensare di rilanciare la vecchia idea di nazione è un’operazione inutile perché lo stato nazionale è destinato a perdere potere tanto in alto quanto in basso

italia-europa

Ci chiediamo con apprensione cosa potrà essere l’Italia di domani e quale peso avrà nel mondo e se ci sarà ancora spazio per un’identità italiana. E’ difficile dare una risposta. Siamo appena entrati nella terza rivoluzione tecnologica della storia, dopo quella agricola e quella industriale, e l’umanità ne uscirà ridisegnata dalle fondamenta. Andremo incontro a rischi enormi ma anche a grandi opportunità. E il centro del mondo si è spostato sulle rive del Pacifico dove l’estremo Occidente tocca l’estremo Oriente. Questo nuovo intreccio sta facendo nascere una nuova civiltà.

E tuttavia noi siamo nati dove un ininterrotto e millenario accumulo di attività e ingegno ha creato opportunità di agio che non hanno eguali per qualità ed equilibrio. Per due volte, separate da quasi un millennio, l’Italia aveva figurato come protagonista assoluta sulla scena dell’Occidente.

La prima aveva riguardato l’antichità imperiale romana. La seconda, tra XXII e XVI secolo, culminata nel Rinascimento, quando si formarono i primi tratti dell’italianità moderna: da una parte, una forte creatività intellettuale e sociale, capace di produrre modelli artistici, stili esistenziali, articolazioni civili, legami comunitari, comprensione del mondo; dall’altra, una enorme debolezza nel produrre una potenza regolatrice delle forme in quanto stato, istituzioni, forza disciplinante di regole e responsabilità. L’italianità moderna è tutta spostata sulla vita anziché sulle forme: una vita che assorbe in sé le forme invece di farle vivere in modo autonomo e forte.

Quando le masse sono entrate nella sfera politica, con la democrazia repubblicana, non si è andati verso una distinta e parallela crescita della società civile e dello Stato, ma sono stati i partiti ad occupare entrambe le sfere, impedendo alla prima di evolvere compiutamente e responsabilmente e al secondo di acquisire forza e autorevolezza.

Sicché si sono prodotti spirito di adattamento insieme a un’incapacità di autodisciplinarci; propensione all’eguaglianza insieme ad uno scarso spirito democratico; spiccato senso dei diritti individuali insieme ad una mancanza di cultura della responsabilità; alfabetizzazione di massa insieme ad un forte appiattimento culturale.

Questo intreccio di pregi e difetti ci impedisce di stare compiutamente nella modernità

Oggi più che mai noi siamo la nostra conoscenza e la nostra esperienza e potremo avere un futuro se sapremo creare un nuovo equilibrio tra storia e innovazione, tra uso del territorio e conservazione della bellezza, tra vita e forme. Ci vogliono progettualità e legami di cittadinanza che inducano una capacità della società civile di organizzarsi per stare dentro il mondo odierno e non ai margini e un rinnovamento profondo dei partiti per ottenere istituzioni efficienti e politiche capaci di mettere in moto l’economia.

Ma senza ricostruire un’identità è difficile che si abbiano progetti e legami. Una forte identità nazionale come ritiene Ernesto Galli della Loggia? O un’identità italiana proiettata verso un’identità europea come pensa Aldo Schiavone?

Il grande storico delle repubbliche italiane, Jean Léonard Sismondi, nel 1845 sosteneva: “L’Italia è diventata non una nazione ma un semenzaio di nazioni, in cui ogni città fu un popolo libero e repubblicano.” Negli stessi anni, Carlo Cattaneo, il grande sconfitto del Risorgimento, scriveva che “gridar la repubblica nelle valli di Bergamo e del Cadore è così naturale come gridare in Vandea viva il re!” Giuseppe De Rita ritiene che quelle convinzioni preunitarie, repubblicane e federaliste, non siano state offuscate da un secolo e mezzo “di unificazione statalista, centralizzata, burocratica”.

Pensare di rilanciare la vecchia idea di nazione all’inizio del nuovo millennio è d’altronde un’operazione inutile perché lo stato nazionale è destinato oggi a perdere potere tanto in alto quanto in basso. In alto, perché si moltiplicano le forme di fusione e di unione tra gli stati tanto che in Europa oltre il 60 – 70 per cento del potere legislativo dipende ormai da Bruxelles e Strasburgo. In basso, perché sta, non solo presso di noi ma in tutti gli stati nazionali, aumentando il potere reale dei governi locali e regionali.

Vale allora la pena di ricostruire lo stato nazionale su basi nuove, cominciando col fissare il “codice genetico” degli italiani e col ricordare tutte le grandi “fedeltà” che essi sono riusciti a conservare lungo i secoli e i millenni. Mi chiedo: essere legati ai diversi territori di appartenenza è davvero una debolezza? L’estrema varietà dei luoghi e delle storie del nostro paese non è forse una grande ricchezza di cui possiamo disporre? Penso che solo riappropriandoci di questo patrimonio culturale possiamo impostare nuove regole, davvero federaliste, per trasformare gli italiani da sudditi mugugnanti in cittadini responsabili.

Non bisogna, però, attingere a quanto gli intellettuali e i letterati hanno scritto in passato sui ceti popolari italiani ma direttamente a quanto il nostro popolo ha sempre pensato, detto e scritto di se stesso, raccogliendo l’imponente materiale di letteratura tradizionale, di memorie e fonti orali di cui noi siamo ricchi. Sandro Fontana ha recentemente dato conto di alcune ricerche importanti effettuate in Lombardia che vanno in questa direzione. Temi come il cibo, il lavoro, la terra, la comunità, la patria, il risparmio, la famiglia, la religione, l’amore, la lingua assumono altri significati nella cultura popolare e rurale; ed è lì che dobbiamo scavare per tornare a riprenderci quei significati e integrarli coi nuovi saperi di oggi. E’ in questo modo che ricostruiremo un’identità che faccia leva sulla cultura e sulla consapevolezza di quello che davvero siamo stati per poter cambiare con coraggio noi stessi nel mondo che cambia.

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