Costruire un nuovo e unitario soggetto dell'Agricoltura Sociale in Italia

Cari Associati,

l’Assemblea di oggi è chiamata ad assumere decisioni importanti che riguardano l’impegno della Rete e di ciascuno di noi per la crescita e la diffusione delle esperienze di agricoltura sociale nel nostro Paese. Le proposte sono racchiuse in un documento che abbiamo allegato alla lettera di  convocazione e che sarà sottoposto al vostro voto alla fine del dibattito.

Il documento è stato redatto unitariamente dalla Presidenza, che ha raccolto e portato a sintesi la discussione svoltasi nel Consiglio Direttivo. Di questo ringrazio fraternamente Anna, Antonio, Carlo e Michele. In quella sede si sono confrontate diverse ipotesi  di evoluzione della nostra Associazione dopo questa prima fase iniziale che ci ha visti impegnati, insieme alle organizzazioni aderenti e ad altri soggetti, nel promuovere l’idea di agricoltura sociale, nel diffondere i suoi contenuti e le sue potenzialità, nel conseguire i primi riconoscimenti nelle politiche pubbliche.

Una prima opzione si caratterizzava per un percorso futuro in continuità con l’esperienza fatta finora: ampliamento delle funzioni della Rete da mero coordinamento di organizzazioni a più efficace struttura di rappresentanza e servizio delle realtà di base associate e di soggetto promotore, insieme ad altri, di un Forum nazionale dell’agricoltura sociale.

Una seconda ipotesi immaginava la Rete come mera struttura di coordinamento delle organizzazioni nazionali aderenti, senza alcuna funzione di rappresentare le esigenze delle fattorie sociali aderenti.

E una terza opzione suggeriva, infine, semplicemente di sciogliere la nostra esperienza in una nuova aggregazione da costruire con altri soggetti.

Dal confronto che abbiamo condotto in modo trasparente è stata elaborata una proposta unitaria che chiude, se l’Assemblea concorderà, una fase vivace di discussione interna su questioni non facili da dirimere, che tuttavia ha comportato una situazione intollerabile di stallo delle nostre attività, che dura dal mese di febbraio e che dobbiamo rapidamente superare.     

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Al  centro della nostra iniziativa futura abbiamo posto l’esigenza che si dia vita ad un soggetto nuovo che possa rappresentare l’insieme delle agricolture sociali, nella loro pluralità e diversità, aperto a tutte le strutture, alle varie organizzazioni, ai ricercatori che operano nelle università e in altre istituzioni pubbliche e private, alle professioni, agli operatori della comunicazione e a tutti coloro che in Italia sono impegnati a promuovere tali esperienze.

Mi preme sottolineare che questo obiettivo è coerente con lo spirito originario della Rete. Sin dall’atto fondativo, la nostra Associazione si è, infatti, concepita come uno dei soggetti del pluralistico mondo dell’agricoltura sociale, senza alcuna pretesa di autosufficienza e senza coltivare atteggiamenti di superba autoreferenzialità. Ci siamo, invece, resi disponibili a forme di collaborazione, aggregazione e coordinamento più ampie, riconoscendo anche ad altri soggetti la rappresentanza di singole esperienze o di reti locali.

In questi due anni, sono stati coltivati molteplici rapporti con il Ministero delle politiche agricole, l’INEA, la Commissione agricoltura della Camera, diverse istituzioni regionali e provinciali, contribuendo all’elaborazione di proposte di legge e di normative riguardanti l’agricoltura sociale. Partecipiamo attivamente al Tavolo di Partenariato della Rete Rurale Nazionale, fornendo le nostre proposte che, almeno in via formale, vengono puntualmente recepite nei documenti ufficiali. La nostra funzione viene generalmente riconosciuta in tutte le sedi dove si discute di agricoltura sociale. Gli apporti più importanti sono condensati nel documento approvato dall’Assemblea svoltasi nel 2009 dal titolo “Contributo per una Carta dei Valori e dei Principi dell’Agricoltura Sociale” e nella nota “L’Agricoltura Sociale, una priorità nella prossima legislatura regionale” varata dal Consiglio Direttivo e inviata ai candidati alle Elezioni regionali 2010. Alle scelte contenute in tali testi facciamo riferimento negli incontri pubblici e nelle sedi di consultazione riguardanti l’agricoltura sociale.

Abbiamo costruito una reciprocità di relazioni con il Forum del Terzo Settore e con una serie di Associazioni di familiari di persone con disabilità. Ultimamente siamo stati coinvolti nella creazione della Fattoria Sociale – Centro Diurno di Spello, in Umbria, promossa dall’ANGSA – Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici. Siamo stati, inoltre, indicati dalla giuria del Premio “La Formica d’Oro” 2010, promosso dal Forum del Terzo Settore del Lazio tra le organizzazioni a cui, lunedì 29 novembre prossimo, nel teatro Sala Umberto di Roma, verrà assegnato l’importante riconoscimento.

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Nell’Assemblea dell’anno scorso ci prefiggemmo di promuovere con altri partner pubblici e privati la Comunità di pratiche italiana. E’ un traguardo che rimane nello sfondo e che potremo raggiungere più facilmente se prima daremo vita ad un soggetto autonomo dalle istituzioni in grado di raggruppare la gran parte delle forze sociali impegnate o che desiderano impegnarsi nella sperimentazione concreta di pratiche, in cui le persone con svantaggi o disagi possano dare un senso alla propria esistenza e alle proprie capacità, mediante le attività agricole e le reti di economia solidale nei territori rurali.

Si tratta di far nascere un soggetto che abbia come compito primario quello di elaborare unitariamente posizioni condivise da far valere in modo “vertenziale” nei confronti delle istituzioni. Dunque, un soggetto “padrone di sé”, che dovrà agire in piena autonomia. La denominazione e le modalità per attivarlo dovranno essere decise da un Comitato Promotore formato da tutti coloro che vorranno partecipare al processo costituente.

Una volta attivato, il nuovo soggetto potrà organizzare con le istituzioni, nelle forme che si riterranno più idonee, la Comunità di Pratiche italiana come momento di scambio di esperienze – in ambito pubblico e privato - delle diverse realtà presenti nel nostro Paese.

L’urgenza di fondare il nuovo soggetto deriva dalla consapevolezza di vivere una fase caratterizzata da un appesantimento della situazione economica strutturale del Paese con gravi ricadute sulle condizioni socio-economiche delle campagne e sulle reti di protezione sociale.

Dal dibattito pubblico sulle riforme necessarie per superare la crisi non emergono, infatti, orientamenti volti ad utilizzare le ridotte risorse pubbliche in un disegno di sviluppo e di equità. L’opinione prevalente che circola negli ambienti politici e che viene trasmessa dai media è che, una volta superato il punto più critico della crisi economica, saranno superati anche gli altri problemi, la crescita economica ricomincerà e potremo velocemente e proficuamente tornare a produrre e consumare come si è sempre fatto in passato.

E’ a mio avviso un’analisi superficiale  perché all’origine della crisi finanziaria e delle crisi che si sono aperte, da quella sociale a quella alimentare, da quella energetica a quella ambientale, non c’è un incidente di percorso, ma una fondamentale carenza teorica della dimensione umana del capitalismo. La rappresentazione corrente delle attività economiche che si svolgono nell’odierna società vede uomini e donne impegnati ad ogni livello delle attività di produzione di beni e servizi unicamente animati dall’obiettivo di massimizzare il profitto personale. Questa però è una visione profondamente distorta della natura umana perché le persone sono creature multidimensionali, la cui felicità deriva da tante fonti, non solo dal denaro.

La storia delle campagne, in ogni parte del mondo, ci fornisce molte indicazioni per riflettere sul presente e sul futuro. La principale è che l’evoluzione sociale ed economica del mondo agricolo è avvenuta ed avviene sulla spinta di aspirazioni profonde di tante persone alla libertà d’iniziativa, alla creatività, all’autonomia da condizionamenti esterni e alla proprietà della terra come occasione per stabilire un legame anche affettivo con un fattore indispensabile e irriproducibile e, dunque, da preservare nel migliore dei modi. Si tratta di aspirazioni che interagivano e continuano ad integrarsi – nelle aree del mondo più povere molto più che da noi - con legami sociali diffusi, comunitari, e con valori altruistici di mutuo aiuto e reciprocità.

Con la modernizzazione agricola avvenuta in modo esplosivo negli ultimi sessanta anni e il cui motore è stata l’interazione tra tecnologia e impresa concepita astrattamente come meccanismo di produzione mosso dall’obiettivo di massimizzare il profitto, quelle aspirazioni si sono alimentate sempre meno di legami sociali e di valori altruistici ed hanno assunto spesso connotati egoistici. Ciò ha determinato un’erosione crescente di beni relazionali, capitale sociale e risorse naturali, come ci ha mostrato il professor Cecchi nel nostro seminario sulla PAC presentandoci i risultati di una recente ricerca sul capitale sociale nelle campagne europee. Ma alla stessa conclusione sono pervenuti gli studiosi che hanno relazionato al Seminario dell’ALPA sulla PAC. Ed è questa perdita immane di beni relazionali e di capitale sociale nelle campagne alla base della crisi agricola che stiamo vivendo.

Se non si fa in modo rigoroso questa analisi, non si comprende il sostanziale fallimento delle politiche agricole adottate negli ultimi trenta anni, da quando cioè si è aperta la crisi della PAC delle origini; e non si potranno individuare nuove politiche che possano affrontare seriamente i problemi aperti nell’agricoltura europea. 

La recente Comunicazione della Commissione europea su “La PAC verso il 2020. Rispondere alle future sfide dell’alimentazione, delle risorse naturali e del territorio” mostra scarso coraggio proprio perché a monte non c’è questa analisi: gli aiuti ai produttori non diventano, nelle nuove proposte, veri incentivi con cui riconoscere la capacità dell’agricoltura di produrre effettivi e misurabili beni pubblici, come se la maggioranza degli agricoltori sia mossa esclusivamente dall’esigenza di accrescere i propri redditi e non anche dalla soddisfazione di svolgere funzioni di interesse collettivo e dimostrare di esplicarle nel concreto; e lo sviluppo rurale non si trasforma in uno strumento con cui il patrimonio di attività, conoscenze e valori delle comunità locali viene messo a frutto per la competitività dei territori, i cui prerequisiti sono la qualità sociale e l’inclusività.

E’ un documento che si limita a dare alla PAC qualche pennellata in più di colore “verde” senza, tuttavia, modificarne la sostanza: si rinfrescano le facciate ma l’edificio rimane saldamente ancorato alle sue basi produttivistiche e ad una concezione della competitività fondata esclusivamente sulla riduzione dei costi e sulle economie di scala e non già sulla diversificazione e sulle reti territoriali.

Del resto, senza un’enunciazione chiara dei valori e dei principi fondanti della società aperta, come la giustizia sociale, lo sviluppo umano, il mutuo aiuto, la reciprocità, l’inclusione, le pari opportunità, la salvaguardia delle risorse per le generazioni future, anche gli obiettivi di interesse generale delle politiche e gli strumenti per conseguirli difficilmente si possono individuare con precisione.

In agricoltura è enorme il divario tra valori enunciati nel discorso pubblico e obiettivi reali delle politiche. Basti riflettere sul fatto che nessun documento programmatico fa leva sulle motivazioni di fondo che spingono, da qualche decennio, tanti giovani e tante donne a condurre attività agricole soprattutto lungo percorsi innovativi fondati sulla multifunzionalità. Si tratta spesso di motivazioni legate alla qualità della vita, al bisogno di dare un senso più profondo alla propria esistenza o di rendersi utili per contribuire a risolvere dei problemi sociali, promuovendo attività imprenditoriali che si autosostengono economicamente e finanziariamente, ma che sono volte a conseguire finalità di interesse collettivo. L’obiettivo non è il produrre cibo in sé, ma il produrlo in un certo modo per ottenere beni pubblici capaci di soddisfare bisogni collettivi. In queste nuove esperienze si opera una sorta di capovolgimento dei mezzi in fini, per ristabilire un ordine di priorità che si era smarrito con la modernizzazione agricola: è l’uomo coi suoi bisogni e le sue aspirazioni più profonde il fine dell’attività economica, mentre il processo produttivo, il prodotto e la sua scambiabilità sono soltanto i mezzi per conseguirlo.

Nel nostro seminario sulla PAC, il professor Becchetti ci ha spiegato che i beni relazionali sono quei beni che vengono co-prodotti e co-consumati simultaneamente dai soggetti coinvolti; non possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo ma sono goduti soltanto se condivisi nella reciprocità; sono, in sostanza, diversi dalle merci perché il loro valore consiste nel soddisfare un bisogno attraverso il dono. Ebbene, i processi produttivi agricoli sono tuttora incentivati dalle politiche pubbliche  non già riducendo il costo dell’investimento in beni relazionali, ma riducendo il costo della loro distruzione.

Tutto l’edificio dell’intervento pubblico in agricoltura si basa, infatti, sul concetto di impresa agricola che si ritrova nel codice civile e nei manuali di economia agraria e in cui l’imprenditore è visto come una persona mossa esclusivamente dalla ricerca del tornaconto personale, anche quando si tratta di un’impresa familiare o di un piccolo produttore: è questa la visione che c’è nei bandi che riguardano i sostegni pubblici agli investimenti, nei piani di impresa su cui si esamina la validità dei un’iniziativa, nell’accesso al credito agevolato. Per la pubblica amministrazione, il fatto che una persona possa fare l’imprenditore per il gusto di contribuire a risolvere un problema sociale attraverso un’attività economica  - che ovviamente deve remunerare il lavoro anche quando questo è prestato dallo stesso imprenditore - non costituisce un elemento da prendere in considerazione, perché è una variabile non contemplata dalla teoria economica dell’impresa agricola. Si richiede, anche in questo caso, di ridurre i costi o di razionalizzare il processo produttivo senza curarsi degli effetti di queste misure sui benefici sociali che costituiscono il vero obiettivo di questa particolare impresa. E quando si interviene sugli aspetti sociali, lo si fa nella forma del sostegno al reddito, in una visione assistenzialistica e corporativa, e mai come legittimo e misurabile corrispettivo di un bene pubblico non remunerato dal mercato; lo si fa privilegiando l’imprenditore a tempo pieno e che fa solo l’agricoltore e per tutta la vita, creando rendite di posizione inaccettabili e discriminando apporti che pure sono tesi a creare rilevanti benefici sociali.

Come dice giustamente il Premio Nobel per la pace  Muhammad  Yunus, il business sociale non cerca di massimizzare il profitto, di spazzar via la concorrenza, di perseguire una crescita fine a se stessa, ma cerca di portare un beneficio alle persone e alle comunità utilizzando a questo scopo le più efficaci e accorte tecniche finanziarie  e gestionali.

Dovremmo, pertanto, essere più audaci nel presentare la nostra idea di agricoltura sociale, che trae proprio dall’essere un concetto così forte, e al tempo stesso così flessibile e adattabile, la propria posizione di vantaggio rispetto alle concezioni tradizionali nel rappresentare una concreta possibilità di rinnovamento. La nostra idea non intacca la libertà di scelta delle persone che anzi amplia in modo sostanziale; non ha la pretesa di costituire un modello alternativo o contrapposto agli altri, ma è perfettamente compatibile con la struttura economica esistente; ed apre anzi una via per rivitalizzarla.

Il destino di questa nostra idea di agricoltura sociale dipenderà esclusivamente dall’efficacia con cui riusciremo a toccare le giuste corde nella sensibilità dell’opinione pubblica. Se saprà diventare parte del sogno di un mondo migliore che tante persone portano nel cuore; allora niente la potrà fermare e si svilupperà per quanto avverse possano sembrare le circostanze.

Dovremmo essere più audaci nel definire i nostri obiettivi concreti.

Perché non sperimentare fondi di investimento per la produzione di beni pubblici relazionali e ambientali da realizzare mediante le attività agricole, in cui far confluire risparmi delle famiglie, donazioni, apporti delle grandi imprese e delle banche?

Perché non creare programmi per formare nuove competenze in attività che producono beni relazionali e promuovere l’autoimprenditorialità in agricoltura come percorso di autonomia e autorealizzazione per tante persone svantaggiate?

Perché non dare vita a reti locali di economia solidale, in cui possano trovare uno spazio economico sostenibile piccoli produttori, forme diverse di agricoltura amatoriale, gruppi di acquisto, mercati agricoli di vendita, esperienze di artigianato e turismo rurale, centri di produzione della cultura locale, il tutto in una visione imprenditoriale rivolta al bene delle comunità?  

Per esprimere istanze simili con la necessaria efficacia ci vuole, dunque, un soggetto nuovo che sprigioni la tensione etica delle esperienze di agricoltura sociale, comunichi la loro capacità di produrre beni relazionali e contribuisca a ricostruire l’immagine di un’agricoltura civile i cui fini, prima d’ogni altro, sono ridurre le ingiustizie, sviluppare le capacità delle persone e proteggere l’ambiente.

Alla costruzione di questo nuovo soggetto andranno dedicati nelle prossime settimane impegno ed energie soprattutto da parte delle organizzazioni nazionali che aderiscono alla Rete: Acliterra, Aiab, Alpa e Cnca. Vi è bisogno di tutta la loro autorevolezza e generosità per contattare altre forze disponibili e altre reti e insieme raggiungere un più elevato coordinamento delle strutture organizzate. Esse svolgeranno questa funzione primaria mettendo in campo tutte le proprie prerogative e spostando ad un livello più ampio la loro capacità aggregante per dare voce alla dimensione civile ed etica dell’agricoltura italiana e promuovere una sintesi condivisa dei suoi valori e dei suoi principi.

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Il cantiere che si apre per edificare il soggetto nuovo ed unitario da fondare insieme ad altri è, dunque, il nuovo scenario entro cui la Rete ridefinisce il suo protagonismo, le sue funzioni e la sua struttura organizzativa.

Essa non avrà più l’onere di coordinare l’iniziativa delle organizzazioni nazionali aderenti sui temi dell’agricoltura sociale perché tale funzione si sposta sul nuovo soggetto che dovrà nascere e il cui processo costituente vedrà già da ora l’impegno di primo piano in capo a ciascuna delle organizzazioni.

La Rete non avrà, inoltre, il compito di assumere iniziative sulla base di una cessione di sovranità delle organizzazioni nazionali aderenti perché ciascuna di esse, d’ora in poi, non rinuncerà più a nessuna delle proprie prerogative per svolgere meglio le proprie funzioni nei rapporti con le istituzioni e con l’insieme delle diverse realtà organizzate.

La Rete accentuerà, viceversa, la sua caratterizzazione di agile e concreta struttura rappresentativa dei bisogni e delle aspettative delle fattorie sociali aderenti, stabilendo con esse e coi loro coordinamenti regionali un rapporto diretto, nell’ambito dei programmi definiti dall’Assemblea e dal Consiglio Direttivo.

Oltre alle 4 organizzazioni nazionali e al coordinamento regionale della Sicilia che vede il coinvolgimento di oltre 50 realtà locali, aderiscono formalmente alla Rete 32 fattorie sociali, insediate in 11 regioni italiane, 2 associazioni di familiari, un’associazione di professionisti del diritto impegnati nel sociale, un istituto di studi e ricerche sui servizi sociali  e una decina di persone fisiche, tra studiosi, ricercatori e liberi professionisti. Si tratta per lo più di adesioni che si sono manifestate nell’ultimo anno. Dal crescente numero di contatti al nostro sito internet e dalle numerose mail che continuano ad arrivare ogni giorno da aziende agricole, cooperative, associazioni, si evince, peraltro, la dimensione di un radicamento non occasionale, destinato ad aumentare nel tempo. Sarebbe una follia distruggerlo prima di assestarlo in una vera e propria struttura associativa, con una sede nazionale stabile e funzionante quotidianamente, con coordinamenti regionali e con una serie di attività e iniziative che vedano costantemente coinvolti gli associati.

Si è creata un’aspettativa che riguarda la nostra capacità di fornire servizi specialistici di ogni tipo. Dobbiamo formare, mettere insieme e organizzare competenze tecniche e professionali per approfondire aspetti riguardanti l’introduzione di sempre nuove attività nelle strutture, l’adeguamento dei processi produttivi al bisogno di inserire persone con particolari svantaggi, gli strumenti finanziari, il marketing, l’organizzazione del prodotto. Va sempre più rafforzata la capacità di svolgere attività di animazione e progettazione laddove nascono nuove idee progettuali da parte di singoli o di gruppi. Dobbiamo ulteriormente sviluppare lo sportello internet per divulgare meglio le informazioni e le esperienze. Occorre supportare, come abbiamo incominciato a fare, progetti formativi che riguardino soprattutto l’inserimento delle persone deboli, per fare in modo che attraverso l’attività di rete e di animazione si individuino effettivi sbocchi di lavoro o iniziative di autoimprenditorialità e non si faccia una formazione fine a se stessa. Dobbiamo moltiplicare le iniziative come quella organizzata dai nostri amici dell’Agenzia AICARE per fare emergere le buone pratiche attraverso la creazione di premi, eventi culturali e artistici. Bisogna che continui con l’impegno di tutti l’attività del gruppo di lavoro sulle normative, coordinato da Roberto Finuola, per monitorare i provvedimenti che lo Stato e le Regioni si apprestano a varare per orientare meglio le scelte pubbliche e supportare gli operatori che dovranno applicarli.

Ecco, noi dobbiamo essere in grado di offrire, senza riserva alcuna e nel migliore dei modi, tutti questi servizi. Lo dobbiamo fare diventando una vera e propria associazione che non opera in libertà vigilata e si occupa quotidianamente dei problemi concreti delle fattorie sociali e di quei soggetti o gruppi che ogni giorno sviluppano nuove idee progettuali. Essi riporranno poi la propria fiducia in chi risponderà meglio alle loro esigenze.

La Rete continuerà ad essere un’Associazione di organizzazioni e di persone per far sì che non si disperda la ricchezza degli apporti finora in essa confluiti e si possano realizzare, liberamente e volta per volta, sinergie e collaborazioni con le organizzazioni, le associazioni e gli istituti che svolgono compiti analoghi. Andrà, peraltro, svolto ogni tentativo per ricercare gli apporti anche di altre organizzazioni, associazioni e istituti che finora non hanno aderito poiché il loro sostegno è essenziale alle fattorie sociali.

L’adesione delle organizzazioni non mette, altresì, in discussione il principio associativo di “una testa un voto” e costituisce un modello organizzativo originale volto a diffondere i principi di partecipazione, solidarietà e mutuo aiuto nelle diverse realtà di agricoltura sociale. Tale formula presuppone il riconoscimento di appartenenze multiple, oggi reso più facile a seguito della crisi degli ideologismi. Occorre riconoscere il diritto di una fattoria sociale di aderire contemporaneamente a più organismi per le specificità che questi esprimono. Si tratta di uno schema che meglio si adatta ad una associazione che deve integrare settori, discipline e competenze diverse e permette una maggiore ricchezza.

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La Rete svolgerà, pertanto, liberamente i compiti propri di Associazione di promozione sociale democraticamente definiti dai propri organi statutari, senza limitazione alcuna. A livello regionale andrà riconosciuta alle organizzazioni e alle persone che aderiscono alla Rete la più ampia autonomia organizzativa. Da tale riconoscimento deriveranno più ampie e complessive responsabilità della struttura nazionale, la quale dovrà svolgere tutte quelle funzioni di supporto che permettano alle strutture territoriali di sviluppare le iniziative più opportune per promuovere l’agricoltura sociale.

Pervenendo così come stiamo facendo ad una definizione puntuale delle funzioni e dei compiti della Rete, le garantiamo la possibilità di esercitare una più incisiva presenza e una più spiccata capacità di elaborazione sulla base di un protagonismo degli agricoltori e dei presidenti di cooperative, compiendo ogni sforzo per promuoverli negli organismi dirigenti e alle massime cariche dell’Associazione. Non si tratta di un richiamo retorico ai principi della democrazia partecipativa,  ma di dar vita, senza infingimenti, a processi concreti di crescita e affermazione dei diretti protagonisti delle esperienze che intendiamo diffondere, nella ferma convinzione che la realizzazione dei relativi percorsi debba essere un tratto distintivo di un’agricoltura civile.

Come vedete, non ho predisposto un  programma di nuove attività della Rete, pur avendo pensato a lungo in questi mesi a tanti progetti e iniziative, perché mi è sembrato più corretto concludere prima la nostra discussione su cosa deve essere l’Associazione e poi decidere – con una riunione del Consiglio Direttivo da svolgere prima delle feste natalizie - le attività da realizzare fino all’Assemblea per il rinnovo degli organismi dirigenti.

Non è stato inutile questo dibattito perché ha permesso di confrontare culture e sensibilità diverse. E dal dialogo, quando è leale e trasparente, si esce tutti più arricchiti. Per quanto mi riguarda, ho appreso che non dobbiamo mai rinunciare a trasformare i nostri desideri in realtà. Anche quando le circostanze sono difficili e a volte sofferte, bisogna avere pazienza, saper ascoltare in silenzio, mettersi in attesa. Più "impossibile" è l’obiettivo, più stimolante sarà la sfida per raggiungerlo.