Le nostre preoccupazioni sociali e ambientali
Con l’incontro di oggi presentiamo l’edizione 2007-2008 del
Bilancio Sociale del nostro Istituto. Lo illustreranno il Direttore Generale,
Dott. Renzo Brizioli, il Direttore Sanitario Dott. Remo Rosati, il Direttore
Amministrativo Dott. Franco Brugnola e le Dott.sse Daniela Di Marcello e
Antonella Bozzano.
Introduco i lavori a nome del Consiglio di Amministrazione,
che nell’ordinamento del nostro Istituto non ha compiti gestionali ma di
indirizzo, coordinamento e controllo.
Tra gli indirizzi generali per la programmazione delle
attività dell’Istituto – che abbiamo ribadito ancora ieri nell’approvare quelli
per il 2010 – vi è l’indicazione di perseguire una strategia di Responsabilità
Sociale e di adottare i relativi strumenti, tra cui il Bilancio Sociale e un
sistema efficace di comunicazione.
Il nostro Istituto è uno strumento tecnico scientifico del
servizio sanitario e deve garantire la salute degli animali, la sicurezza degli
alimenti, l’igiene degli allevamenti e delle produzioni animali mediante
attività di controllo.
La sua configurazione attuale è il frutto del decentramento
delle competenze a favore delle Regioni e del processo di aziendalizzazione
delle strutture sanitarie pubbliche. Siamo un’azienda e come tale dobbiamo
comportarci.
I nostri “azionisti” - se così si possono definire - sono lo
Stato e le Regioni Lazio e Toscana.
Noi pensiamo che non sia sufficiente avere dei doveri solo
verso gli “azionisti”, ma verso tutti i soggetti che interagiscono con le
nostre attività, influenzano e sono influenzati dalle nostre azioni.
Il nostro dovere non è solo quello di aumentare i “profitti”
dei nostri “azionisti” - che nel nostro caso significa improntare le attività a
criteri di economicità e di riduzione dei costi per qualificare e
razionalizzare la spesa pubblica - ma di tutelare i diritti di tutti i
portatori d’interesse con cui noi veniamo in contatto o sono influenzati dalle
nostre attività.
Il senso della Responsabilità Sociale d’Impresa per un
Istituto come il nostro
Finora l’Istituto ha conseguito gli obiettivi fissati dalle
due Regioni e attuato gli indirizzi del Consiglio di Amministrazione. E siamo
certi che continuerà a farlo.
Ora vorremmo che si passasse concretamente al percorso di Responsabilità
Sociale d’Impresa in base alla definizione che ne ha dato la Commissione Europea
nel famoso Libro Verde del 2001: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni
sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali
e nei loro rapporti con le parti interessate”.
Vorremmo cioè volontariamente aggiungere alle nostre
attività, che si svolgono nel solco
degli obiettivi e delle regole che ci derivano dagli “azionisti”, due ulteriori
elementi:
1) le preoccupazioni sociali, che si riferiscono alla
giustizia sociale e, dunque, al
benessere umano, alla qualità della vita, al lavoro, alla salute, all’inclusione
sociale, al patrimonio storico-culturale delle nostre comunità locali, ecc.);
2) le preoccupazioni ambientali, che attengono alla
cura della qualità del territorio e, dunque, al benessere dell’ecosistema, al benessere
animale, alla tutela della biodiversità vegetale e animale, ecc.).
E vogliamo farlo per accrescere la fiducia nelle relazioni
che noi intratteniamo con altri soggetti pubblici e privati, nella
consapevolezza che la sicurezza alimentare, l’ambiente, il rispetto dei diritti
umani, l’inclusione sociale sono tematiche che suscitano grande interesse tra i
cittadini.
La rinnovata strategia di Lisbona promuove la crescita e
l’occupazione in modo pienamente coerente con lo sviluppo sostenibile.
L’evoluzione della PAC sta seguendo questo orientamento di
fondo: lo sviluppo rurale non è altro che l’applicazione della strategia di
Lisbona alla politica agricola.
Ebbene, seguendo questo orientamento, la Commissione europea
nel 2006 ha riconosciuto che la Responsabilità Sociale d’Impresa può “fornire un contributo essenziale allo
sviluppo sostenibile rafforzando al tempo stesso il potenziale innovativo e la
competitività dell’Europa” e ha invitato tutti gli operatori pubblici e
privati a riflettere sulle misure necessarie per la sostenibilità e ad avanzare
proposte ambiziose che vadano oltre i requisiti legali minimi vigenti.
“Fare rete” come percorso di Responsabilità Sociale
d’Impresa
La nostra attività è incentrata sul controllo e il
miglioramento della qualità degli alimenti e dei processi produttivi
agricoli e zootecnici.
Costituiamo, insieme ai servizi veterinari pubblici e
privati, quel pezzo di sistema sanitario che interagisce in modo profondo con
il sistema agroalimentare italiano.
Questo sistema, se vuole diventare competitivo e
concorrenziale rispetto ai sistemi di altri paesi, deve avere complessivamente
un orientamento alla Responsabilità Sociale delle nostre imprese comunicando ai
consumatori e all’opinione pubblica i principi etici assunti nella gestione e
nella produzione.
Il sistema agroalimentare può, dunque, giocare una carta
importante proprio evidenziando il “come produce”, dal momento che
l’acquisto di un prodotto alimentare è legato a valori quali la salute,
l’ambiente, la tradizione, la cultura, il benessere (umano, animale e
dell’ecosistema). In sintesi, è legato alla fiducia.
Il nostro Istituto, dunque, insieme ai dipartimenti di
prevenzione delle AUSL, dovrà impegnarsi non solo a perseguire un proprio
specifico percorso di Responsabilità Sociale, di cui sono strumenti principali
il Bilancio Sociale, la Rendicontazione ai portatori d’interesse, le
Certificazioni di Qualità dei servizi erogati e, ultimamente, non solo per la
Toscana, dove già da tempo è in uso, ma anche per il Lazio, l’adozione del
programma per le Verifiche di Performances, in collaborazione con il MES dell’Istituto
Universitario “S. Anna” di Pisa.
Esso intende anche contribuire a far sì che il sistema
agroalimentare, con cui interagisce profondamente, possa adottare, a livello
delle singole imprese e dei loro aggregati di filiera e territoriali, percorsi
di Responsabilità Sociale per diventare più competitivo.
“Fare rete” – di cui spesso si parla senza mai
definirne un senso preciso – non è altro che una modalità di Responsabilità Sociale.
Per l’agricoltura e il sistema agroalimentare è un modello imprescindibile per
la competitività.
Noi intendiamo contribuire all’adozione di tale strumento
nelle nostre due Regioni.
Non partiamo da zero. Abbiamo già costruito un pezzo del
percorso: le intese realizzate non solo con gli Assessorati alla Sanità ma
anche con quelli all’Agricoltura ( da consolidare istituendo con essi la
Conferenza programmatica già in essere coi primi), con gli Assessorati all’Ambiente, con ARSIAL, ARSIA,
ARPAT, ARPA, con le istituzioni di ricerca e di alta formazione, con il mondo
associativo.
E’ un percorso difficile – ce ne rendiamo conto – che,
tuttavia, noi vogliamo fare adottando una strategia di ascolto; quella
che ci costringe a fare i conti con il consenso, un elemento intangibile
della gestione di un’azienda, un elemento che, come direbbe Einstein, “conta,
ma non si conta”.
Gli strumenti della Responsabilità Sociale d’Impresa ci
permettono di gestire questa “fiducia” e inserirla a pieno titolo tra le attività
intangibili che danno valore al nostro Istituto, accrescono la sua reputazione.
L’importanza della comunicazione
La comunicazione è un ulteriore strumento che stiamo
perfezionando. Il sito internet, il suo carattere interattivo, le relazioni con
la stampa, sono aspetti a cui stiamo dedicando grande attenzione per realizzare
la strategia di ascolto e non solo per informare delle nostre attività.
Scriveva Danilo Dolci: “Se ognuno al mondo sapesse
distinguere il trasmettere dal comunicare, il mondo sarebbe diverso… Occorre il
coraggio, non solo intellettuale, di chiamare comunicazione soltanto il sistema
in cui ogni partecipante coinforma e corrisponde”.
I traguardi sociali e ambientali delle nostre attività
Adottare un percorso di Responsabilità Sociale modifica profondamente
la struttura che lo compie. Non è un belletto o un fiore all’occhiello per
apparire migliori o più attraenti.
Assumere impegni dal punto di vista dello sviluppo
sostenibile comporta una dilatazione notevole dei compiti istituzionali oltre
quelli indicati dalle normative che ci riguardano.
Mi riferisco alla tematica ambientale connessa alla
sicurezza alimentare intesa nella sua accezione più ampia fino a comprendere le
deroghe igienico-sanitarie per salvaguardare i prodotti tradizionali, al
benessere animale e alla tutela delle razze equine e asinine in estinzione; ma
anche alla tematica sociale legata alle attività e alle terapie assistite dagli
animali, che si vanno sempre più diffondendo nelle pratiche di agricoltura
sociale, e alla diffusa presenza di animali da compagnia nelle nostre città,
che richiede un’intensa attività educativa e formativa verso le famiglie, a partire
dai nuovi saperi in materia di etologia e di bioetica.
Naturalmente l’ampliamento della nostra operatività a tali
tematiche ha ripercussioni notevoli sul regolamento interno e sul processo di
aziendalizzazione. Ma far fronte a tali conseguenze è un impegno ineludibile se
vogliamo adottare la strategia della Responsabilità Sociale.
Accrescere la nostra reputazione tra i “proprietari dei
paletti”
“Fare rete” significa “fare sistema”. Intendiamo,
dunque, coordinare i nostri strumenti di Responsabilità Sociale con quelli che
usano i nostri stakeholder.
Non vogliamo ottenere una sommatoria, ma un’integrazione, un sistema.
La differenza è notevole tra sommatoria e sistema: è la
stessa tra musica e rumore. Vogliamo ottenere un’armonia dei diversi strumenti.
Siamo, tuttavia, consapevoli che il risultato di tale
impegno non dipende dal modello adottato ma dal percorso.
Tale percorso o viene fatto effettivamente in armonia con
altri soggetti o resta un desiderio che non avrà alcun effetto concreto.
La Responsabilità Sociale non è quella che noi riteniamo
di adottare ma è quella che l’opinione pubblica ci riconosce, che i diversi
interlocutori si riconoscono reciprocamente.
Chi, come me, viene dall’agricoltura sa che i valori di
reciprocità e di mutuo aiuto caratterizzano da sempre il mondo rurale. Dunque,
la Responsabilità Sociale è nel DNA culturale del settore.
Del resto la parola stakeholder ha origine nella
cultura contadina scozzese. Il suo significato letterale è “proprietario del
paletto”, quello che segna il confine del fondo o del podere.
Tenere in considerazione gli interessi degli stakeholder
significa tenere in conto gli interessi del contadino confinante.
Nel nostro podere si ha diritto a fare ciò che si vuole, ma
c’è sempre un vicino che, ai confini delle nostre azioni, è portatore di
semplici interessi e che può essere tutelato solo dai nostri comportamenti.
In cambio il nostro vicino offre consenso, fiducia, quello
che ci fa accrescere la nostra reputazione e ci permette di vivere in armonia
nella stessa comunità.
E’ questo il senso che vorremmo dare alla nostra iniziativa.