Verso la Comunità di Pratiche Italiana dell’Agricoltura
Sociale. Idee e proposte per una Carta dei Valori e dei Principi
Gentili ospiti, cari associati,
ad un anno
dall’Assemblea di rilancio della nostra Rete, possiamo affermare che
l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica nei confronti
dell’agricoltura sociale è cresciuta ancor di più. A questo risultato riteniamo
di aver dato un contributo significativo insieme ad altre realtà che operano
nel nostro paese.
Ringrazio per il lavoro svolto in questi mesi i vice
presidenti Antonio Carbone, Anna Ciaperoni, Carlo De Angelis e Michele Zannini,
che nella Rete rappresentano rispettivamente ALPA, AIAB, CNCA e ACLI Terra. Con
la loro attiva partecipazione e l’impegno delle loro organizzazioni, abbiamo
potuto estendere la nostra presenza nella maggior parte delle regioni italiane.
Un grazie particolare a Marzia Achilli, Raffaele Alianiello,
Alessandra Domigno, Fabio Ferraldeschi,
Roberto Finuola, Paolo Scarpino, Francesca Zappalà e Simona Zerbinati,
che mi sono a fianco nell’attività operativa di direzione della Rete. Senza di
loro non avremmo mai potuto realizzare le iniziative promosse quest’anno.
Di agricoltura sociale si discute nelle sedi dove si
decidono le politiche pubbliche e nell’ambito di numerose iniziative di
approfondimento promosse da università ed enti di ricerca, nonché da organismi
sociali e politico-culturali.
A seguito del recepimento dell’accordo sull’Health Check
negli “Orientamenti strategici comunitari in tema di sviluppo rurale” e della
disponibilità di nuove risorse derivanti dal “Piano di rilancio economico
europeo” (Recovery Package), le Regioni da una parte e il MIPAAF dall’altra
stanno modificando in questi giorni rispettivamente i PSR e il PSN alla luce
delle “nuove sfide” che occorre affrontare.
Tra queste sfide figurano i cambiamenti climatici e la
biodiversità, tematiche che si collegano direttamente all’agricoltura sociale
perché esiste un nesso molto stretto tra inclusione lavorativa di persone con
svantaggi o disagi nell’attività agricola e introduzione o riconversione di
processi produttivi a minore impatto ambientale, nonché tra riqualificazione
delle reti sociali nelle città mediante l’utilizzo di risorse agricole e tutela
e valorizzazione delle aree agricole periurbane.
Abbiamo consegnato al Tavolo di Partenariato Permanente della
Rete Rurale Nazionale e nelle sedi di confronto con le Regioni, laddove siamo
presenti, le nostre proposte che sono il frutto di riflessioni maturate in questa prima fase di attuazione
dei PSR.
Una prima lezione che abbiamo appreso dalle reazioni che hanno
suscitato i documenti di programmazione e i primi bandi nelle nostre realtà è
che senza un’adeguata attività di animazione territoriale, in grado di
coinvolgere tutte le componenti private e pubbliche dell’agricoltura, della
sanità, dei servizi sociali, della formazione e delle politiche del
lavoro, difficilmente nascono idee
progettuali volte ad utilizzare i finanziamenti dello sviluppo rurale.
Laddove questa attività è stata fatta e continua a
svolgersi, come nelle Regioni Toscana, Lazio, Sicilia e Friuli Venezia
Giulia, i risultati sono tangibili.
Ad esempio nel Lazio si è registrata una partecipazione
qualificata di fattorie sociali alla progettazione integrata della filiera del
biologico. E in questi giorni c’è un interesse abbastanza diffuso alla
Progettazione integrata territoriale poiché in molte iniziative si fa
riferimento a idee progettuali che riguardano l’agricoltura sociale.
Tra gli strumenti di intervento pubblico disponibili,
annettiamo un’importanza strategica alla Progettazione integrata territoriale
perché essa permette di rivitalizzare le comunità locali e, dunque, quelle
forme di cooperazione e condivisione tra soggetti diversi, senza le quali non è
possibile innescare processi reali di sviluppo.
L’agricoltura sociale è per sua natura promotrice di legami
tra persone, aziende, associazioni, enti pubblici che intendono condividere
percorsi comuni di crescita. Ed è per questo motivo che la Rete considera come
una sua missione svolgere direttamente
una intensa attività di animazione nei territori per fare in modo che le
comunità locali possano cogliere le opportunità della Progettazione
integrata.
Dalle prime reazioni ai bandi da parte delle fattorie
sociali possiamo cogliere anche un’altra lezione. L’agricoltura sociale è una realtà complessa e si pone quasi come cartina di tornasole di un
cambio di paradigma che sta avvenendo in una parte dell’agricoltura europea.
E’ in atto un’evoluzione
del modello agroindustriale e produttivistico verso quello dello
sviluppo rurale, all’interno del quale le nostre imprese introducono
spontaneamente innovazioni organizzative e di processo nell’ambito di reti
informali che vedono coinvolti più soggetti territoriali. Esse sono in
condizioni di farlo perché vi operano prevalentemente donne e giovani, con
diploma o con laurea, che sanno costruire legami forti con il territorio benché
provengano da contesti urbani.
Nelle nostre imprese si adottano processi di
differenziazione del potenziale produttivo aziendale che sono distinti e
specifici rispetto ad altri processi di differenziazione che caratterizzano
complessivamente la multifunzionalità dell’agricoltura.
L’aspetto prevalente del processo di differenziazione è,
infatti, il coinvolgimento nell’attività lavorativa di persone con svantaggi o
disagi.
Un siffatto modello ha molte analogie con quello
dell’agricoltura biologica e dei prodotti tipici e di qualità, ma ha una sua
peculiarità, che vede l’agricoltura produrre e riprodurre contestualmente non
solo beni alimentari, ma anche valori, cultura, capitale sociale e risorse
naturali.
Tale tipologia richiede
sostegni specifici ad investimenti più immateriali che materiali
nell’ambito delle azioni volte a migliorare la competitività delle imprese.
Ebbene, questa particolarità dell’agricoltura sociale non è
ancora considerata nella politica di sviluppo rurale.
Il motivo di questa lacuna ha a che vedere con il sistema
della conoscenza.
Quando abbiamo, infatti, trasferito nelle politiche e nelle
normative le teorie e le analisi scientifiche sulla multifunzionalità - in
verità scarsamente suffragate da indagini sociologiche ed economiche, che sono
purtroppo divenute sporadiche e frutto dell’impegno di qualche ricercatore di
frontiera disposto ancora a “sporcarsi le scarpe” nelle campagne, per usare una
efficace espressione di Manlio Rossi-Doria
- abbiamo confuso la
multifunzionalità del territorio rurale con la diversificazione delle attività
aziendali, che ne costituisce solo un aspetto.
Tale limite si è riflesso nelle Misure del PSR perché
nell’Asse I, che riguarda la competitività, non sono previste azioni specifiche
per l’agricoltura sociale. Queste sono state inserite solo nell’Asse III, che
riguarda la diversificazione aziendale e l’attrattività dei territori rurali.
Un’impostazione siffatta ha senz’altro contribuito a determinare uno scarso appeal
dei bandi del PSR tra le nostre strutture.
In realtà, nelle pratiche di agricoltura sociale non c’è
solo o non c’è affatto un processo di diversificazione delle attività, ma
vengono messe in atto strategie imprenditoriali e territoriali che si fondano
sull’innovazione tecnologica e organizzativa del processo produttivo agricolo,
sul potenziamento del capitale umano e sulla differenziazione dei mercati dei
prodotti agricoli indotta da una domanda composita che va comprendendo sempre
più un orientamento dei consumatori verso prodotti ad alto contenuto etico.
Inoltre, nella maggior parte dei casi il servizio sociale e
l’esercizio dell’attività agricola primaria sono così intimamente legati l’uno
con l’altra che quasi non si distinguono più. E questo avviene perché il
servizio sociale esplica la sua efficacia solo se la persona a cui è diretto
viene pienamente coinvolta nel processo produttivo agricolo.
Questo intreccio si manifesta essenzialmente con due
modalità: innanzitutto con l’inserimento lavorativo di persone con svantaggi o
disagi in aziende agricole nella forma dell’assunzione oppure mediante percorsi
di autoimprenditorialità; e poi con l’erogazione di servizi terapeutici e
riabilitativi a beneficio di utenti. Nel primo caso, il nesso tra beneficio
sociale e utilizzo di risorse agricole si realizza nell’attività principale di
coltivazione e di allevamento; nel secondo caso, il legame si produce
nell’ambito di una diversificazione delle attività aziendali configurandosi in
un vero e proprio servizio sociale rivolto ad utenti esterni.
Ma c’è un aspetto rilevante che abbiamo finora
sottovalutato: nell’adattare i processi produttivi alle prerogative delle
persone coinvolte, le nostre strutture spesso vanno a recuperare modalità di
produzione che sono state scartate dalla logica produttivistica insita nel
processo di industrializzazione dell’agricoltura e che oggi rivelano tutte le
loro potenzialità, non solo perché promuovono le capacità individuali che
altrimenti resterebbero inespresse, ma anche perché ci permettono di affrontare
le “nuove sfide” ambientali.
Si tratta, dunque, di adattamenti volti ad accrescere la
competitività delle aziende e dei territori, la loro capacità di creare
occupazione, coesione sociale e sostenibilità ambientale.
Dobbiamo scrollarci di dosso lo stereotipo che vuole
l’agricoltura sociale un’agricoltura marginale. Le nostre strutture praticano
economie di scopo, sono alla continua ricerca di nuovi prodotti e servizi. E
tutto questo rende le loro attività economicamente sostenibili e spesso
permette ad esse di assumere il ruolo di pionieri nei propri territori.
Siamo consapevoli che al fondo dello stereotipo non c’è
soltanto una scarsa conoscenza, ma c’è anche lo stigma verso le persone le cui
capacità intendiamo promuovere attraverso l’agricoltura intendono promuovere. E
ciò deve costituire una ragione in più per approfondire la natura dei processi
virtuosi di cui noi siamo protagonisti e saperli comunicare alla società.
Mi ha colpito la riflessione di un giovane detenuto del
carcere di Siracusa, mentre mi mostrava come produceva dolcetti di mandorle
all’interno del penitenziario: “Io devo fare bene questo dolcetto – ha
osservato - perché le persone che lo mangeranno e leggeranno sull’etichetta che
proviene da qui dentro, quando uscirò dal carcere, penseranno che in fondo sono
una persona come tutti gli altri e avranno meno pregiudizi nei miei confronti”.
In questa considerazione è un’indicazione valida per tutta
l’agricoltura sociale: più saremo apprezzati per le nostre capacità, più si
modificherà positivamente la percezione che i cittadini hanno di noi.
* * *
Soprattutto nelle aree periurbane le nostre strutture
presentano anche il modello della diversificazione delle attività perché si
sono attrezzate per erogare servizi. In questo caso l’agricoltura sociale è la
cartina di tornasole di un altro cambio di paradigma, che investe questa volta
il rapporto città e campagna.
Nei paesi ricchi è in atto un’evoluzione epocale da un rapporto urbano/rurale inteso come
polarizzazione tra centralità e perifericità e tra ricchezza e povertà, che
giustificava politiche redistributive, ad una relazione che propone il
territorio come un continuum di urbano e rurale, con bisogni specifici e
modalità per soddisfarli da valutare caso per caso.
Questo cambiamento non è stato recepito nelle politiche di
sviluppo e coesione dell’Unione Europea in cui l’approccio allo sviluppo rurale
è per un verso accentuatamente settoriale e per l’altro prevalentemente
redistributivo. Manca del tutto una visione territoriale che guardi all’insieme
dei problemi di un determinato territorio
e cerchi di affrontarli utilizzando in modo duttile i diversi strumenti di
intervento.
La politica di sviluppo rurale non interviene nelle aree
agricole periurbane per accrescere le opportunità di reddito legate a nuove
attività turistiche, artigianali ed energetiche perché in tali settori
interviene ampiamente il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).
Per detti settori è del tutto comprensibile l’impostazione
restrittiva nell’utilizzo del Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Regionale
(FEASR), ma è del tutto miope applicarla anche per i servizi sociali erogati in
ambiti agricoli perché il FESR non ha alcuna ricaduta sulle reti di protezione
sociale delle aree urbane. Eppure la Commissione europea insiste in questa sua
posizione nonostante le potenzialità dell’agricoltura sociale di contribuire a
riqualificare la rete dei servizi sociali, la cui domanda è divenuta
particolarmente acuta proprio nelle città e la cui tessitura nelle campagne
urbane potrebbe produrre non solo una risposta più efficace dal punto di vista
sociale, ma anche un contributo importante alla riqualificazione delle città
dal versante paesaggistico.
Oggi nelle aree periurbane e soprattutto nelle aree
metropolitane si riversano fenomeni di grande rilevanza sociale, che vanno
dall’immigrazione al nomadismo, dalle nuove povertà alle devianze, fino al
disagio indotto dalla perdita di posti di lavoro a causa della crisi economica
di questi mesi, che inevitabilmente produrranno una pressione sulle aree
agricole per la costruzione di alloggi a minor costo.
Nello stesso tempo, soprattutto nelle campagne urbane,
sorgono nuove iniziative di agricoltura sociale e cresce la pressione da parte
di associazioni di familiari di persone con disabilità e di organizzazioni del
Terzo Settore per promuovere progetti di servizi sociali che prevedono
l’utilizzazione di risorse agricole. Iniziative progettuali che le politiche
sociali non sono in grado da sole di sostenere e che la politica di sviluppo
rurale non considera di propria competenza solo perché ricadenti in aree
agricole periurbane.
Eppure, solo una saggia programmazione di interventi, capace
di integrare risorse di diversa provenienza e organizzare un’offerta efficace
rispetto alla domanda di servizi sociali delle popolazioni, potrebbe garantire
il mantenimento di una funzione produttiva e ambientale delle campagne urbane e
contribuire a fronteggiare la grave questione sociale che ha investito le
nostre città.
Sono queste le lezioni che ci vengono dalla prima fase di
attuazione della programmazione dello sviluppo rurale e continuiamo, pertanto,
a sollecitare il Ministero e le Regioni perché colgano in questi giorni
l’occasione dell’adattamento del PSN e dei PSR alle “nuove sfide” ambientali
per negoziare con la Commissione UE quelle modifiche che riconoscano le
effettive potenzialità dell’agricoltura sociale di rispondere a bisogni plurimi
delle popolazioni.
* * *
Ho voluto di proposito dilungarmi su questo aspetto della
nostra iniziativa non solo perché è di stretta attualità ma anche perché
racchiude il senso di un’azione che la Rete ha sviluppato per un intero anno.
All’indomani dell’Assemblea del luglio scorso abbiamo
incontrato il Presidente della Commissione Agricoltura della Camera, On. Paolo
Russo, e poi l’intera Commissione per presentare le nostre proposte.
Successivamente abbiamo avuto continui scambi con dirigenti del Ministero delle
Politiche agricole.
E’ stata da noi posta l’esigenza prioritaria di costituire
una “task force” presso la Rete Rurale Nazionale con il coinvolgimento delle
Regioni, dei Ministeri interessati e delle reti di agricoltura sociale.
Tale struttura dovrebbe avere i seguenti compiti:
a) elaborare e monitorare le informazioni sulla presenza e
sullo sviluppo delle attività nel territorio nazionale, anche al fine di
facilitare la diffusione delle buone pratiche;
b) raccogliere e valutare in modo coordinato le ricerche
concernenti l’efficacia delle pratiche di agricoltura sociale ai fini del loro
inserimento nella rete dei servizi territoriali;
c) sviluppare azioni di informazione, formazione e
animazione territoriale finalizzate al supporto delle iniziative delle Regioni
e dei sistemi territoriali anche in collaborazione con strutture pubbliche e
private che hanno cumulato esperienze.
A nostro avviso è essenziale promuovere sul territorio
attività di ricerca-azione volte a conseguire nuove e migliori conoscenze sui
meccanismi di funzionamento delle pratiche di agricoltura sociale con
metodologie interdisciplinari, multiattoriali e partecipative. Si tratta di coinvolgere
il sistema della ricerca e dell’alta formazione e il patrimonio di conoscenza
tecnica e contestuale dei diversi territori nei campi delle terapie con le
piante e con gli animali e della medicina, dell’inclusione sociale e delle
terapie occupazionali, dell’agricoltura e della formazione, delle ricadute
economiche delle pratiche per le componenti pubbliche e private e degli
strumenti di politica.
Se non sviluppiamo queste attività non saremo in grado di
orientare bene le scelte pubbliche e supportare in modo efficace le strutture
operative.
La costituzione di un Tavolo Interistituzionale per gli
Interventi Terapeutici e Riabilitativi in Agricoltura (TITRA), presso l’INEA ,
di cui fanno parte il MIPAAF, il Ministero dello Sviluppo Economico, il
Dipartimento Salute del Ministero del Welfare, l’Istituto Superiore di Sanità e
alcuni rappresentanti di istituzioni di ricerca e di alta formazione, e la
partecipazione della Rete Fattorie Sociali al Tavolo Permanente di Partenariato
dello Sviluppo Rurale sono i primi atti concreti che vanno nella direzione da
noi auspicata; ma resta ancora molto da fare per concretizzare quel minimo di
azioni necessarie, a livello centrale, per lo sviluppo dell’agricoltura
sociale.
Nel frattempo, ci siamo dotati della Rete dei Saperi e delle
Conoscenze, a cui stanno aderendo numerosi esperti provenienti dalle
Università, dagli Enti di ricerca, dalla Pubblica amministrazione e dalle
professioni, che contribuirà a collegare le strutture operative
dell’agricoltura sociale con il sistema della conoscenza.
Vi è tutto un mondo che opera in ambiti molto vicini al
nostro con cui dobbiamo entrare in contatto e collaborare. Penso ad organismi
come il Laboratorio di studi economici e giuridici “Ghino Valenti”, all’INU,
all’ISTISSS, al SIQuAS (Società Italiana per la Qualità dell’Assistenza
Sanitaria), all’Associazione “Legale nel Sociale” che raggruppa avvocati
specializzati sui temi del Terzo Settore.
Roberto Finuola, a cui abbiamo affidato il compito di
coordinare questa Rete, sottoporrà tra poco all’Assemblea le proposte operative
per il funzionamento di tale struttura e gli ambiti di lavoro che si intendono
sviluppare.
* * *
Desidero ringraziare l’INEA, l’ARSIA e l’ARSIAL per le
attività di formazione, informazione e animazione che da tempo svolgono in
materia di agricoltura sociale.
A queste iniziative si sono aggiunti due progetti innovativi
per l’agricoltura sociale e per l’agriturismo sociale (ReMI) realizzati in modo
coordinato da un vasto partenariato di associazioni ed enti, compresa la Rete Fattorie Sociali, che ha partecipato al
bando della Regione Lazio “Nuova Ruralità”.
Per impulso della Commissione Agricoltura di questa Regione
si è dato vita da quasi due anni al Tavolo Regionale dell’Agricoltura Sociale,
che vede la partecipazione delle forze sociali e delle diverse articolazioni
dell’Amministrazione regionale (agricoltura, sanità, politiche sociali,
formazione).
In tale sede abbiamo esaminato recentemente la proposta di
un bando dell’Arsial per sostenere iniziative di agricoltura sociale e ci
attendiamo che la platea dei beneficiari si estenda a cooperative sociali e
associazioni onlus, le cui strutture siano collocate in aree agricole e le cui
attività prevedano l’utilizzo di processi produttivi agricoli.
Per sottolineare l’importanza del carattere intersettoriale
del Tavolo, ricordo che in tale sede abbiamo anche esaminato una proposta di
legge regionale che riguarda i servizi e gli interventi socio-sanitari e come
Rete abbiamo consegnato una serie di emendamenti per fare in modo che nella
riorganizzazione dei servizi si potesse tener conto dell’agricoltura
sociale.
Ultimamente Arsia e Arsial hanno sostenuto congiuntamente la
partecipazione dell’agricoltura sociale nazionale a Terrafutura. Presentandoci
in un unico spazio espositivo abbiamo avuto maggiore visibilità e soprattutto
abbiamo potuto avviare una fase nuova di scambio delle esperienze e di
autoapprendimento collettivo che ci porterà nel prossimo autunno a svolgere a
Roma una riunione della Comunità di
Pratiche italiana dell’agricoltura sociale in analogia con quanto avviene in
altri paesi.
Perché consideriamo importante questo appuntamento?
Secondo gli studiosi Etienne Wenger e Jean Lave, che per
primi hanno utilizzato questa definizione nei loro studi sulle tecniche di
apprendimento, “le Comunità di Pratiche sono gruppi di persone che condividono
un’attività o una passione e imparano a farla meglio attraverso una loro
regolare interazione”.
Ebbene, noi vogliamo contribuire a dar vita ad una Comunità
di Pratiche dell’agricoltura sociale nel nostro Paese per dotarci di uno
strumento che ci permetta di crescere insieme, di superare la condizione di
isolamento in cui spesso operiamo, di imparare a fare meglio approfondendo la
conoscenza delle buone pratiche.
La Comunità di Pratiche è uno strumento indispensabile
soprattutto in questa fase in cui dobbiamo in primo luogo prendere coscienza di
quello che effettivamente siamo, del valore che apportiamo alla società e
farcelo riconoscere dalla collettività.
In chiusura del Convegno del 29 maggio scorso a Firenze,
abbiamo convenuto di dar vita ad un Comitato promotore, aperto a tutti i
portatori di interesse, che stabilisca le modalità di svolgimento e organizzi
l’evento. Diamo ora la nostra disponibilità affinché la prima riunione si possa svolgere entro la
fine di luglio.
* * *
Nell’ultimo anno, si sono svolti due seminari in Sicilia
organizzati congiuntamente dalla Regione e dall’INEA; un convegno organizzato
dal Forum delle Fattorie Sociali di Pordenone, in cui si è delineata l’ipotesi
di un Distretto Rurale di Economia Solidale; cinque incontri promossi dal
Formez; una serie di iniziative legate alla Società della Salute in Provincia
di Pisa; iniziative di animazione per promuovere il Progetto integrato “Norba,
Ninfa, Cora, Tres Tabernae”, che vede soggetti pubblici e privati delineare
nuovi modelli di welfare di comunità; i seminari dell’INEA nell’ambito del
progetto sulla Cultura Contadina, il Convegno organizzato dal Consiglio
Regionale del Lazio in collaborazione con l’Arsial, dove si è svolta una seria
riflessione sulle politiche regionali per l’agricoltura sociale con la
partecipazione dell’Assessore all’Agricoltura Daniela Valentini, e una vivace
iniziativa di condivisione di esperienze e di progettualità promossa dal Forum
delle Fattorie Sociali della Provincia di Roma con il Presidente Nicola
Zingaretti.
Ulteriori iniziative di approfondimento si sono realizzate
per impulso di organismi politico-culturali, come la Fondazione Cloe, e del
mondo associativo, come l’INU Lazio, il CNCA Sicilia in collaborazione con
l’AIAB, l’Associazione Oasi in collaborazione con l’Istituto di Ricerche
sulla Popolazione e le Politiche Sociali IRPPS-CNR, l’Università Popolare per
Tutte le Età di Latina, la Cooperativa “Ritorno alla Terra” di Servigliano
(AP), la Cooperativa “Dimensione Natura” di Amandola (MC), l’Associazione
“Insieme per l’Aniene”, la Cooperativa “Agricoltura Capodarco”.
Ovunque la Rete è stata presente portando il proprio
contributo di idee e di proposte.
Desidero menzionare, inoltre, il progetto dell’AIAB su
“Agricoltura e detenzione”, che ha posto in evidenza la capacità dell’attività
agricola di umanizzare la condizione carceraria e di sostenere il reinserimento
sociale dei detenuti.
Leggendo il bel libro di Marco Verdone, “Il respiro di
Gorgona”, pubblicato recentemente, si possono comprendere le enormi
potenzialità dell’agricoltura nel dar vita ad esperienze di “carcere aperto”
non solo sulle isole.
Nelle carceri italiane ci sono oggi 63.460 detenuti, ben 20
mila in più rispetto alla capienza regolamentare, “oltre il tollerabile” per
usare l’efficace espressione con cui l’Associazione Antigone, che opera per la
difesa dei diritti dei detenuti, ha intitolato il 6° Rapporto sulle carceri,
presentato qualche giorno fa a Roma. Tra quanti scontano una pena definitiva,
il 32,4% ha un residuo di pena inferiore ad un anno e addirittura il 64% ha un
residuo di pena inferiore a tre anni. Per detenuti con buona condotta e pene
lievi si potrebbero progettare altre Gorgone magari in aree agricole periurbane
per preservarle dal cemento o in centri rurali spopolati per sottrarre risorse
agricole e ambientali di pregio ad un destino di abbandono. Si
garantirebbe maggiore sicurezza ai cittadini con persone a fine pena che abbiano
imparato un mestiere e siano pronte a reinserirsi nella società.
Costruire nuove modalità di abitare il territorio è stato il
tema dell’ultima edizione di UnbanPROMO a Venezia, dove abbiamo partecipato
attivamente ad una iniziativa con l’INU e l’ISTISSS, sul tema delle aree
periurbane.
Noi concepiamo l’agricoltura urbana come un insieme di
attività produttive di beni e servizi che contribuiscono a forgiare modelli di
visione capaci di dare valore estetico alle città”.
Ma come attuare un adeguato processo per individuare e
consolidare specifiche politiche di sviluppo per le aree periurbane? Per
rispondere correttamente avremmo bisogno di ricerche e approfondimenti di casi
studio.
Commentando su un quotidiano il recente volume “Ruritalia”,
curato da Corrado Barberis e uscito in
occasione del cinquantenario dell’INSOR, ho avuto modo di rilevare che le
continue e rapide trasformazioni che stanno avvenendo nelle campagne italiane
difficilmente si possono osservare utilizzando solo i freddi numeri delle
statistiche.
Dovremmo, invece, tornare all’inchiesta militante - quella dei De Martino, degli Olivetti e dei
Dolci per intenderci - e dare voce a
persone non idealizzate ma a quelle in carne ed ossa, che abitano territori
determinati, per leggere la realtà così com’è percepita da chi vive in un
determinato luogo, senza generalizzazioni spesso prive di senso.
E’ così che potrebbero venire indicazioni concrete anche per
una legge nazionale sul governo del territorio volta a salvaguardare le nuove
vocazionalità agricole con criteri da intendere come “giusta misura” in cui la
generazione attuale dovrebbe garantire le aspettative di quelle future.
Al convegno dell’INEA e dell’Associazione “Manlio
Rossi-Doria” sul tema “La Costituzione e l’agricoltura” abbiamo ragionato con
il Prof. Francesco Adornato sugli spazi per una normativa nazionale di principi
a cui le Regioni dovrebbero attenersi nel governo del territorio. Si tratta di
approfondire ulteriormente questo tema impegnando giuristi, urbanisti, sociologi,
economisti, geografi, passando dalla mera denuncia del consumo di suolo
agricolo a proposte di riforma che tengano conto delle recenti trasformazioni
sociali.
Desidero ringraziare le centinaia di cittadini che hanno
aderito alla petizione popolare, che
abbiamo lanciato due anni fa sul sito della nostra Rete, per chiedere
l’utilizzo a fini sociali delle terre di proprietà pubblica. Si tratta di una
iniziativa di sensibilizzazione che ha già conseguito un primo importante
risultato.
La Regione Lazio ha, infatti, approvato il Regolamento che
disciplina la gestione dei beni immobili
di proprietà dell’Arsial. Si tratta di un provvedimento atteso da
tempo, con cui si dispongono le modalità di vendita agli agricoltori dei
terreni espropriati con le leggi di riforma fondiaria
del 1950 e rimasti ancora nella disponibilità dell’Agenzia.
Il Regolamento accoglie nella sostanza la nostra
richiesta perché dispone, per una parte cospicua di tali beni, anche un
vincolo di inalienabilità. Si tratta delle aree agricole di particolare
ampiezza aventi significativo rilievo ambientale e paesaggistico che – con
questo provvedimento - vanno a costituire un patrimonio fondamentale della
Regione da tutelare e valorizzare ma non da vendere.
Tali aree potranno essere date in affitto, in locazione o
in concessione, anche a titolo gratuito, nel caso di iniziative di
particolare rilevanza sociale.
Ebbene, in virtù di questa norma, noi potremo adesso aprire
un confronto al Tavolo Regionale dell’Agricoltura Sociale per individuare
le proprietà dell’Arsial rilevanti dal punto di vista ambientale e
paesaggistico, e dunque inalienabili, e concordare le modalità con cui
rendere disponibili tali beni per progetti di utilità sociale.
Analoghe iniziative potremo avviare anche in altre regioni
con le associazioni del Terzo Settore, a cui proponiamo un patto di
collaborazione sulle tematiche di comune interesse, a partire da progetti di
utilizzo delle terre pubbliche per sperimentare nuovi modelli di welfare.
* * *
“Non voglio mica la luna!” titolava Fiordaliso una canzone
di qualche decennio fa. Anche noi non stiamo chiedendo cose impossibili ma solo
alcune condizioni minime per ripristinare un nesso tra etica ed economia.
C’è un passaggio dell’Enciclica di Benedetto XVI “Caritas in
veritate” che descrive in modo semplice la transizione che viviamo nelle
politiche di welfare. “Forse un tempo – si legge nel testo - era pensabile
affidare dapprima all’economia la produzione di ricchezza per assegnare poi
alla politica il compito di distribuirla. Oggi tutto ciò risulta più difficile,
dato che le attività economiche non sono costrette entro limiti territoriali,
mentre l’autorità dei governi continua ad essere soprattutto locale (…) Occorre
che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti
che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da
quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore
economico. Le tante espressioni di economia che traggono origine da iniziative
religiose e laicali dimostrano che ciò è concretamente possibile”.
L’agricoltura sociale si iscrive in tale tracciato come espressione dell’economia civile che può contribuire direttamente e in modo decisivo a ridurre le ingiustizie, sviluppare le capacità delle persone e proteggere la natura oltre le politiche redistributive.
Per fare i conti con la crisi economica, con le nuove paure,
le insicurezze e i disagi della modernità, diffusi in modo impressionante nelle
odierne società, occorre tornare a riprogettare il nostro futuro e a perseguire
un benessere non meramente consumistico ma inteso come ricerca di un senso da
dare alle nostre vite e alle nostre capacità e come esito di più conoscenza, più
inclusività, più mobilità, più cura dei giovani.
Noi ci battiamo per un progetto di cambiamento in cui
l’efficienza economica e la crescita siano il risultato del benessere delle
persone e dell’ecosistema.
Pensiamo ad un modello di sociale in cui i titolari di
bisogni siano posti nella condizione di responsabilizzarsi, liberarsi dalle
catene e di farsi riconoscere i meriti.
E’ per questo che proponiamo all’Assemblea di discutere e
varare il documento che avete trovato allegato all’invito. Sono idee e proposte
per una Carta dei Valori e dei Principi dell’Agricoltura Sociale, che noi
vorremmo portare come nostro contributo alla “Comunità di Pratiche”.
Abbiamo apprezzato il “Manifesto dell’Agricoltura Sociale”,
frutto del lavoro dei partner del progetto europeo SoFar - Social Farming e
discusso dalla Comunità di Pratiche internazionale che si è riunita nel maggio
scorso a Pisa.
Ma riteniamo necessaria una riflessione sui Valori e i
Principi rapportata ai caratteri dell’Agricoltura Sociale del nostro Paese, in
cui convivono una pluralità di modelli organizzativi che dipendono dalle
differenti motivazioni etiche ed economiche alla base delle singole iniziative;
dalla varietà di figure sociali, competenze e risorse coinvolte e dalla
molteplicità dei sistemi territoriali e delle forme di possesso della terra,
dalla proprietà privata a quella pubblica e collettiva; dalla diversità di
politiche di riferimento, non solo agricola che è per lo più europea, ma quelle
sanitarie, sociali, del lavoro, della sicurezza, urbanistiche, dell’istruzione
che sono invece prevalentemente nazionali e con tipicità molto marcate.
E’ dunque un apporto che guarda all’evoluzione di alcuni
fenomeni, come la nuova ruralità, la periurbanità, l’economia sociale, la
transizione della medicina dal modello “Io ti curo” a quello “Io mi prendo
cura”, l’immigrazione, le nuove povertà, il rapporto tra detenzione e sviluppo
locale.
E’ un contributo che intende definire quali sono le persone
interessate all’agricoltura sociale, che per noi sono innanzitutto coloro che
presentano bisogni speciali, cioè problematiche sanitarie o difficoltà sociali
di particolare gravità, e le cui necessità sono spesso rappresentate da
associazioni di familiari.
Vi sono poi coloro che trovano le loro motivazioni profonde
nel disagio provocato dal modello di sviluppo e, quindi, nel bisogno di
sperimentare nuove forme di vita, di produzione e di consumo per dare un senso
alla propria esistenza; le persone che hanno perduto il lavoro in forma
continuativa e sicura o che lo mantengono in condizioni precarie e nelle attività
agricole trovano un modo per integrare il reddito.
A questi soggetti si aggiungono molti produttori agricoli
innovatori e poi numerosi animatori sociali, amministratori, professionisti,
tecnici, ricercatori interessati a progettare nuove iniziative.
Pensiamo che i valori di riferimento dell’agricoltura
sociale siano quelli contenuti nella Carta costituzionale e, in particolare,
nell’art. 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
nell’art. 44 che finalizza l’intervento pubblico in agricoltura alla cura della
qualità del territorio e al perseguimento della giustizia sociale.
Riteniamo che almeno tre potrebbero essere gli obiettivi
strategici da condividere tutti insieme:
migliorare
le condizioni affinché le persone in difficoltà possano con l’attività
agricola dare un senso alle proprie capacità;
riconoscere
l’agricoltura sociale come un’opportunità per migliorare la competitività
delle imprese e dei territori rurali;
creare
un nuovo nesso tra sviluppo, protezione sociale e tutela ambientale nelle
aree rurali.
Pensiamo, infine, che i principi a cui attenersi nel
delineare le politiche siano i seguenti:
riconoscere
le specificità, il pluralismo e la pari dignità di tutte le esperienze di
agricoltura sociale, indipendentemente se ad attivarle sia un’azienda
agricola;
passare
da una politica di sviluppo rurale di tipo settoriale e redistributivo ad
una politica di sviluppo rurale territoriale;
rafforzare
le politiche sociali nelle politiche europee di sviluppo e coesione
integrandole nello sviluppo locale;
orientare il governo del territorio ad una piena integrazione degli spazi agricoli nella pianificazione dei sistemi territoriali in modo che si possano consegnare alle generazioni future in uno stato tale che anch’esse siano in grado di abitarli e ulteriormente coltivarli;
promuovere
stili di vita e modelli di produzione, di investimento e di consumo
compatibili con la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima,
nella consapevolezza che il benessere umano coincide con il benessere
dell’ecosistema;
individuare
sedi e modalità efficaci di coordinamento centrale delle diverse politiche
con il coinvolgimento delle Regioni, dei Ministeri interessati e delle
reti di agricoltura sociale.
E’ un documento che non affronta in modo particolareggiato
le problematiche specifiche in cui si dibattono le fattorie sociali. Abbiamo
ritenuto utile dotarci di un testo che susciti passioni e crei un interesse tra
i cittadini, convinti come Antoine de Saint-Exupéry che “Se vuoi costruire una
nave, non radunare gli uomini per raccogliere il legno e distribuire i compiti,
ma fai nascere in loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.