Valori, principi e prospettive dell’Agricoltura Sociale 

L’Agricoltura Sociale (AS) è l’insieme delle esperienze che vedono persone provate da diverse forme di disagio trovare nelle attività agricole una chance per dare significato alla propria vita e alle proprie capacità. Si tratta di percorsi finalizzati a promuovere inclusione sociale e lavorativa e servizi educativi, terapeutici e riabilitativi.

Le esperienze di AS sono caratterizzate da una molteplicità di modelli organizzativi. Essi dipendono dalle differenti motivazioni etiche ed economiche che sono alla base delle singole iniziative e dalla varietà di figure sociali, competenze e risorse coinvolte. 

Le persone interessate alle iniziative di AS sono innanzitutto coloro che presentano bisogni speciali, cioè problematiche sanitarie o difficoltà sociali di particolare gravità, e le cui necessità sono spesso rappresentate da associazioni di familiari.

Vi sono poi coloro che provengono anch’essi da ambiti lontani dall’agricoltura e che trovano le loro motivazioni profonde nel disagio provocato dagli aspetti quantitativi, standardizzati e consumistici del modello di sviluppo della società contemporanea e, quindi, nel bisogno di sperimentare nuove forme di vita, di produzione e di consumo per dare un senso alla propria esistenza.

Mostrano, inoltre, attenzione alle iniziative di AS persone che hanno perduto il lavoro in forma continuativa e sicura o che lo mantengono in condizioni precarie e nelle attività agricole trovano un modo per integrare il reddito. Si tratta di soggetti che in alcuni casi già operano in associazioni, cooperative o altri enti ed hanno la disponibilità di terreni per svolgere attività agricole. Molto spesso si trovano però soltanto nella fase iniziale dell’elaborazione del loro progetto di vita e ricercano aree agricole di proprietà privata, pubblica o collettiva da affittare o collaborazioni con aziende agricole già attive per poter avviare nuove iniziative.

All’AS sono, peraltro, sempre più interessati produttori agricoli che già svolgono attività diversificate nell’ambito dell’agriturismo e dei servizi legati al mondo della scuola. E ad essa incominciano a mostrare attenzione anche altri soggetti agricoli, soprattutto giovani, con redditi misti e in possesso di strutture spesso di piccole dimensioni,  i quali, spinti dalla globalizzazione ad abbandonare modelli produttivi eccessivamente specializzati perché non premiati dai mercati, sono indotti, per integrare il reddito, a sperimentare l’agricoltura multifunzionale e di prossimità, dai servizi educativi, come gli agrinidi, fino a quelli socio-sanitari.

A guidare i nuovi processi sono soprattutto le donne in quanto portatrici di una capacità di inventare le risorse e valutare in modo attento e duttile le opportunità.

I valori

L’AS trova il proprio fondamento nei valori e nei principi della Carta costituzionale e, in particolare, nell’art. 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese e nell’art. 44 che finalizza l’intervento pubblico in agricoltura alla cura della qualità del territorio e al perseguimento della giustizia sociale.

Le sue radici storiche sono iscritte nei valori di solidarietà e di mutuo aiuto che da sempre hanno caratterizzato il mondo rurale.

Il suo valore etico si inserisce, pertanto, nel carattere universalistico dei diritti umani fondamentali e, in particolare, di quelli riferiti all’inclusione sociale di tutti senza distinzione alcuna e all’accesso equo alle risorse della Terra, ora e in futuro, per fare in modo che ognuno sia libero di poter contribuire al bene comune.

I principi

Un primo principio che dovrebbe informare una politica per l’AS è il riconoscimento delle specificità e della pari dignità di tutte le pratiche di AS che arrecano un evidente beneficio alla collettività. La marcata differenziazione di tali pratiche è una ricchezza e va considerata come l’espressione del pluralismo dei sistemi territoriali, delle forme di possesso della terra e delle componenti sociali, antiche e nuove, che caratterizzano la ruralità contemporanea.

Le pratiche di AS che poggiano su vere e proprie aziende agricole sono le più complete. Il nuovo articolo 2135 del Codice civile riconosce le attività dirette alla fornitura di servizi come attività connesse e dunque agricole quando le attività principali di coltivazione e allevamento sono prevalenti. Bisogna fare in modo che questa regola sia rispettata dappertutto; e dunque gli edifici aziendali adibiti ad attività sociali connesse con l’attività agricola principale devono conservare la destinazione ad uso agricolo ed essere considerati strumentali all’esercizio dell’attività agricola, sia ai fini fiscali che della pianificazione urbanistica  

Nell’AS convivono, tuttavia, anche esperienze che non si configurano in una azienda agricola. Sono attività sociali che si svolgono su piccoli appezzamenti di campagna o su spazi aperti adiacenti ad ospedali, istituti penitenziari, sedi di comunità terapeutiche o di accoglienza. Oppure sono organizzate da centri di riabilitazione o di accoglienza in cui le attività agricole di coltivazione e di allevamento non sono prevalenti rispetto alle attività sociali che tuttavia, anche in parte, si svolgono utilizzando risorse e attrezzature agricole.

E’ un’Agricoltura Sociale che si esprime  più nelle forme di una ruralità sociale. Essa non va marginalizzata in quanto può svolgere un ruolo essenziale per umanizzare strutture sanitarie e carcerarie o vivificare aree periurbane o di montagna.

Come per le imprese agricole lo sviluppo dell’attrattività dei territori rurali è una condizione per valorizzare le proprie attività, così per le fattorie sociali, che sono impiantate sulle aziende agricole, lo sviluppo di iniziative sociali in ambiti agricoli, dove le attività di coltivazione e di allevamento non sono prevalenti o non sono orientate al mercato, costituisce un’opportunità per valorizzare la propria presenza in reti più vaste, che si fondano in ogni caso sull’immagine e i valori autentici della ruralità.

Un secondo principio riguarda l’integrazione delle politiche.

Nella gran parte dei casi, le pratiche di Agricoltura Sociale in Italia sono, contemporaneamente, percorsi particolari di sviluppo rurale e forme originali di welfare comunitario nelle campagne. Esse incrociano due processi che stanno avvenendo per vie parallele: uno in cui di l’agricoltura, riunendo il concetto di terra con quello di territorio, partecipa pienamente allo sviluppo locale e l’altro dove il welfare, trasformandosi da mera azione riparatoria e compensativa dei danni provocati dallo sviluppo in diretta azione di sviluppo, interagisce attivamente nelle economie locali, mediante le reti sociali e le imprese che erogano servizi sociali.

E’ dunque lo sviluppo locale il contesto in cui i due processi si incontrano e, fecondandosi, possono dar vita a nuovi modelli capaci di migliorare la qualità della vita delle aree rurali e periurbane e l’attrattività dei territori.

Una politica per l’AS dovrebbe caratterizzarsi, dunque, come sistema di regole volto a favorire l’integrazione tra politiche e strumenti di intervento diversi.

Nella Regione Lazio, questo principio dovrebbe tradursi nella capacità di creare osmosi tra politiche di sviluppo, a partire dai programmi comunitari di sostegno (POR FESR, POR FSE e PSR), e politiche sociali e tra gli strumenti per lo sviluppo locale (piani di distretto, piani di azione locale, progetti integrati territoriali e piani di assetto delle aree protette) e piani sociali di zona.  

La sfida sta nella capacità dei differenti settori dell’amministrazione pubblica, a cui fanno capo le politiche, a dialogare. La nuova legge regionale sul “Sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali” che si sta discutendo in questi giorni potrebbe recepire questo principio e offrire regole concrete per attuarlo.

Un terzo principio che dovrebbe caratterizzare una politica per l’AS è l’efficacia e la trasparenza dei processi partecipativi nell’attuazione delle politiche di sviluppo locale.

L’utilizzo dei moderni strumenti di comunicazione può senz’altro agevolare percorsi virtuosi. Ma il punto critico è come si interpreta il ruolo del  partenariato: è una sede dove le istituzioni e le organizzazioni di rappresentanza mediano interessi oppure è un luogo dove si tessono rapporti tra soggetti che intendono fare un percorso condiviso di progettazione partecipativa? in che modo esso aiuta a creare una visione comune circa l’evoluzione di un territorio, a facilitare la partecipazione dei soggetti più deboli alle attività economiche e sociali?

L’imminente Bando sulla Progettazione Integrata Territoriale (PIT) da parte della Regione Lazio, in attuazione del PSR, va in questa direzione; e per l’AS costituisce un’opportunità che le forze locali devono saper cogliere e il Tavolo Regionale dell’AS deve accompagnare.

Un quarto principio riguarda il reale coinvolgimento dei portatori di disagio o di svantaggio nella progettazione di interventi che li riguardano.

Anche nel caso in cui il coinvolgimento dei portatori di un qualsiasi svantaggio  fosse finalizzato esclusivamente a fruire di un servizio terapeutico o riabilitativo oppure di inclusione sociale, bisognerebbe fare in modo che sia evidente il loro apporto e quello delle loro famiglie all’individuazione dei bisogni di cui sono portatori e alle scelte più efficaci per soddisfarli.

Essi non dovrebbero essere considerati  soltanto espressione di una domanda da soddisfare, ma portatori di bisogni che si relazionano, si mutualizzano e accrescono le capacità di rapportarsi alle aziende che erogano il servizio “negoziando” il percorso in un contesto partecipativo dell’intera comunità.

Un quinto ed ultimo principio riguarda le modalità concrete per connettere in un’impresa agricola sviluppo, sostenibilità ambientale e giustizia sociale.

La visione industrialista, che ha prevalso nei decenni scorsi in agricoltura, ha fatto sì che delle infinite modalità di produzione venissero prese in considerazione solo quelle che garantivano i migliori risultati in termini rigorosamente produttivi dal punto di vista economico. Ciò ha fortemente limitato il numero dei processi di produzione ritenuti meritevoli di interesse e ha comportato una perdita di consapevolezza della loro estrema varietà.

Ebbene, se oggi si riconosce alle attività agricole un ruolo terapeutico-riabilitativo, si potrà restituire la dovuta attenzione anche a quelle modalità di esecuzione dei processi produttivi che, adottando esclusivamente una logica di mera efficienza economica, verrebbero scartate.

La ricerca di tali modalità potrebbe, peraltro, costituire un’occasione per coinvolgere la comunità locale, dalle scuole alle associazioni culturali, al fine di recuperare la memoria di usi e consuetudini della società rurale da rivitalizzare e inserire nelle attività di una fattoria sociale.

I minori margini derivanti dalla “ridotta” produttività delle attività di coltivazione e di allevamento potranno essere recuperati sviluppando al massimo le attività connesse, attraverso una estesa diversificazione che permetta di coinvolgere pienamente il maggior numero di persone. Introducendo il punto ristoro, l’attività di valorizzazione dei prodotti aziendali, la vendita diretta dei prodotti, la manutenzione del verde nei centri abitati vicini, la pulitura dei boschi, la manutenzione degli assetti di scolo delle acque e dei canali di drenaggio, ecc. si diversificano i mercati e non si dipende solo da quello delle materie prime da destinare all’industria di trasformazione o dei prodotti finiti da cedere alle catene di distribuzione.

L’attenzione a diversificare le attività non deve significare dare minore importanza alle attività produttive agricole. Programmare processi di estensivizzazione agricola per introdurre colture che migliorano la fertilità del suolo o permettono di reintrodurre cultivar più legate alla tradizione; ristrutturare siepi, fossi, boschi e zone umide; ridurre l’uso degli antiparassitari; introdurre tecniche integrate di gestione degli organismi nocivi; adottare il metodo dell’agricoltura biologica; usare l’acqua con parsimonia adottando sistemi irrigui a goccia o ad aspersione o ancora sottochioma; utilizzare fonti energetiche alternative; orientare l’azienda verso un’agricoltura conservativa per alterare il meno possibile la sostanza organica sono azioni che potrebbero apparire antieconomiche. In realtà, non solo permettono alle persone con svantaggi o disagi di vario tipo di svolgere meglio e pienamente le attività agricole, ma producono anche effetti significativi sull’ambiente.

Orientando complessivamente l’azienda verso entrambi questi obiettivi strategici (sostenibilità ambientale e giustizia sociale) e rafforzando quelle attività connesse che la legano sempre più al territorio,  si creeranno le condizioni perché una fattoria sociale adotti uno specifico percorso di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) in grado di accrescere le performance economiche dell’ azienda e la qualità sociale e ambientale del territorio in cui opera.

Per attuare questi principi, prima ancora delle norme e degli atti amministrativi, serve una intensa attività di animazione, così come l’Arsial sta realizzando da oltre due anni a questa parte sulla base di precisi indirizzi della Commissione Agricoltura del Consiglio Regionale del Lazio e di scelte chiare dell’Assessore Regionale all’Agricoltura.

La Rete Fattorie Sociali esprime soddisfazione e condivisione per il percorso fatto tutti insieme al Tavolo Regionale dell’AS. Il Lazio è tra le pochissime Regioni italiane ad essersi dotata di tale strumento e svolge in questo modo un ruolo pilota nell’implementazione e sperimentazione di una politica che deve sempre più poggiare sulla partecipazione dal basso e l’animazione territoriale.