I servizi a supporto dell’agricoltura sociale

1. Agricoltura sociale e sviluppo rurale

L’agricoltura sociale è una delle forme in cui oggi si presenta la moderna ruralità.

Da qualche decennio, infatti, la campagna svolge nei sistemi locali un duplice ruolo: produttivo e culturale. Questo processo di rivitalizzazione della campagna, definito comunemente come processo di sviluppo rurale, non è mosso unicamente dai mercati e dalla tecnologia, ma anche da altre forze propulsive, come la flessibilità dell’organizzazione sociale e la conservazione di quei valori del mondo rurale compatibili coi cambiamenti culturali generati dalla crisi fordista.

I percorsi di sviluppo rurale si configurano come  processi politici autonomi che vedono il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, che hanno un proprio sapere, hanno degli scopi e si danno un programma per realizzare degli obiettivi.

Proprio perché lo sviluppo rurale ha queste caratteristiche, l’agricoltura sociale – in quanto forma della moderna ruralità - sta aprendo prospettive inedite all’affermazione di nuovi modelli di welfare.

La possibilità è data dall’esigenza di fronteggiare un punto di debolezza e dall’opportunità di far leva su di un elemento di forza, entrambi presenti nelle aree rurali.

Da una parte, la  riduzione delle risorse pubbliche per assicurare servizi adeguati ai bisogni della popolazione, benché generalizzata, rischia di ripercuotersi con maggiore evidenza nelle aree rurali, dove i costi dei servizi sono più elevati a causa di un insediamento abitativo più rarefatto e di una presenza di anziani più elevata.

Dall’altra, sono le stesse aree rurali a presentare potenzialità più corpose per attivare modelli di welfare locale in grado di agire sulle reti tradizionali diffuse di accoglienza, di reciprocità e di mutuo aiuto.

Queste reti spesso sono già abbozzate a livello rudimentale e, dunque, si tratta solo di rivitalizzarle e gestirle in modo imprenditoriale, in forte connessione con le economie locali legate alla domanda di ruralità  che proviene dalle aree urbane come espressione appunto di bisogni profondi, valoriali.

In un siffatto contesto l’agricoltura sociale appare come una innovazione organizzativa che può arrecare vantaggi  in più direzioni: per il servizio pubblico che risparmierebbe l’investimento sulle strutture; per le imprese agricole, che vedrebbero dilatarsi le opportunità di valorizzazione delle risorse aziendali; per le persone svantaggiate, a cui si aprirebbero nuovi orizzonti in vista del pieno riconoscimento della propria dignità.

Rafforzare ed espandere le reti relazionali ha, inoltre, una valenza più ampia nel processo di sviluppo rurale perché potrebbe rivelarsi  un’operazione cruciale nel determinare la capacità di attrazione e la reputazione dei sistemi locali. In questo senso, anche le imprese agricole interessate a strategie più complessive di internazionalizzazione hanno la convenienza a mantenere uno stretto rapporto con il territorio e, dunque, a favorire iniziative di sviluppo sociale per far sì che quel territorio medesimo conservi una sua peculiarità e non diventi uno dei tanti.

2. Agricoltura sociale e “modo di produrre contadino”

Nell’agricoltura sociale – così come avviene in genere nell’agricoltura multifunzionale – prevale  una particolare modalità di organizzare la produzione e di vincolare il processo produttivo ai mercati: quella che il sociologo rurale olandese J. D. Van der Ploeg definisce “modo di produrre contadino”, inserito ovviamente in un’economia di mercato com’è quella in cui oggi viviamo.  

Tale modalità è fortemente legata al progetto che si danno i diversi attori che operano in un determinato territorio e non dipende esclusivamente dai condizionamenti esterni del mercato. E’ la modalità che, ad esempio, ha permesso a molti agricoltori di adottare strategie di sicurezza nel fronteggiare mercati divenuti sempre più competitivi. Ed è anche quella che permette a singole persone o gruppi di persone che dalle città “tornano” in campagna di condurre l’attività agricola secondo personali stili di vita.

Se osserviamo l’evoluzione della campagna come realmente si è trasformata e non come avremmo voluto che cambiasse in base ai rigidi schemi della prevalente teoria economica, notiamo che  oggi non esistono due modalità soltanto di organizzare la produzione agricola: quella integrata totalmente nel mercato e quella completamente fuori dal mercato. C’è anche una terza possibilità, la quale prevede che non tutto viene regolato dal mercato, ma vi è un solo parziale inserimento in esso.

In siffatto modello la spinta è quella di mantenere o accrescere l’autonomia rispetto ai processi di integrazione nel sistema agroalimentare, che implica invece un aumento della dipendenza.

A tale modalità sono, infatti, legati stili aziendali che fanno riferimento al valore dei rapporti familiari e delle reti relazionali locali, alla cultura diffusa nel territorio, all’interpretazione del processo produttivo come costruzione sociale (quella stessa cultura delle reti informali e della flessibilità operativa che ha permesso a migliaia di ex mezzadri di diventare protagonisti del “modello adriatico”) ed al rapporto con il mercato e con la tecnologia in funzione delle proprie convenienze.

In questo modello le risorse naturali sono fortemente coinvolte nel processo produttivo rispetto ad altri modelli in cui queste ne sono sempre più sganciate.

Inoltre, in esso il lavoro – nelle forme più svariate - viene valorizzato più intensamente e svolto “con cura”, non solo per realizzare una produzione di qualità ma anche per conservare una “bella azienda”, rispetto a modelli in cui la molla è esclusivamente il guadagno e l’interesse è dunque rivolto ad introdurre tecnologie che permettono un allargamento di scala. I legami familiari e comunitari fanno sì che la pluriattività, intrecciandosi con la multifunzionalità, permette apporti finanziari all’azienda capaci di allentare la dipendenza dalle banche.

Coloro che qualche decennio fa preconizzavano la scomparsa di questo modello e la sopravvivenza delle sole imprese interamente integrate nel mercato, come ineludibile e implacabile esito della modernizzazione in agricoltura, sono rimasti delusi. In realtà, molte imprese agricole totalmente dipendenti dall’industria sono state travolte dai processi di selezione e ristrutturazione di pezzi consistenti del sistema agroalimentare. Sono invece sopravvissute proprio quelle aziende che solo parzialmente hanno accettato di integrarsi nel mercato ed hanno saputo soprattutto sviluppare forme di diversificazione e rapporti informali con le reti locali di valorizzazione del territorio.

Il “modo di produrre contadino” si rivela il più adatto per l’agricoltura sociale perché gli interventi terapeutici e riabilitativi sono più efficaci e sicuri quando sono basati sulla cura delle piante e degli animali in contesti sostenibili dal punto di vista ambientale. Peraltro, una maggiore possibilità di realizzare percorsi formativi e occupazionali in aziende che adottano processi labour-intensive si concilia meglio con gli interventi sociali e sanitari che prevedono l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate.

C’è un nesso molto stretto – si potrebbe dire una coincidenza - tra la lotta degli agricoltori per l’autonomia intesa come libero spazio per creare risorse autonome, non controllate da altri ma dagli agricoltori stessi, e la lotta delle persone con disabilità ed altre forme di svantaggio per l’autonomia intesa come completa integrazione sociale.

Si tratta, a ben vedere, in entrambi i casi di una particolare concezione della libertà, che è propria della cultura contadina: libertà dai poteri esterni, da coloro che sfruttano gli uomini, che vogliono dominarli e umiliarli; libertà di progredire in modo autonomo, di costruire un futuro più promettente, creato almeno parzialmente da noi stessi.

Trattandosi in definitiva di un modello culturale che si ispira ai valori della libertà e della tutela della dignità umana, il “modo di produrre contadino”, esercitato in connessione con le attività sociali e sanitarie, rende l’agricoltura non solo “più bella”, ma anche più accessibile agli altri. L’agricoltura sociale diventa così un rafforzamento della società civile e, quindi, un rafforzamento della dimensione collettiva.

3. Governance e servizi per lo sviluppo dell’agricoltura sociale

L’agricoltura sociale, come forma precipua dei percorsi di  sviluppo rurale,  richiede che si presti una particolare attenzione a due aspetti:

1)      alla governance, da intendere come il coordinamento di azioni e interventi di diverse organizzazioni pubbliche e private capaci di mobilitare risorse e attori per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo;

2)      all’adeguamento dei servizi di sviluppo, in modo tale da renderli idonei ad operare a supporto sia delle strategie di sviluppo territoriale che di quelle delle imprese.

Per quanto riguarda la governance, uno dei punti di maggiore criticità nello sviluppo dell’agricoltura sociale è la difficoltà di dialogo tra gli operatori e le istituzioni che operano nel settore agricolo e quelli che operano nei settori del sociale e della sanità. Le cause di tale complicazione sono diverse: la novità dell’approccio; l’impostazione monotematica e spesso economicistica ai problemi dello sviluppo; la scarsa attitudine all’integrazione delle politiche ed alla definizione di soluzioni innovative e non standardizzate; il numero ancora limitato di “buone pratiche” da cui trarre insegnamento.

L’approccio alla progettazione integrata - previsto in via preferenziale dalla nuova programmazione dello sviluppo rurale e della politica di coesione 2007-2013 al fine di evitare la dispersione “a pioggia” delle risorse comunitarie - potrebbe favorire il superamento di tali difficoltà. Il “progetto integrato territoriale prevede, infatti, che partenariati locali, rappresentativi delle istituzioni e delle diverse componenti economiche e sociali del territorio, pianifichino una pluralità di iniziative in linea con uno o più temi prioritari del Programma regionale di sviluppo rurale e coerenti con i fabbisogni delle diverse tipologie territoriali. I soggetti coinvolti dovranno sottoscrivere un formale accordo con cui assumono impegni e obblighi che dovranno rispettare. Il soggetto promotore del partenariato, in qualità di capofila del progetto, provvederà alla fase di presentazione e assumerà la funzione di coordinamento generale garantendo il monitoraggio delle iniziative e la necessaria assistenza tecnica.

Sarebbe auspicabile che le Regioni promuovano a livello territoriale  attività di animazione e “tavoli di concertazione” intersettoriali, al fine di coinvolgere i diversi soggetti dell’agricoltura sociale, esaminare le loro manifestazioni d’interesse, definire concretamente iniziative di sviluppo, verificare  la possibilità di avviare “progetti pilota”, riconoscere e validare le “terapie verdi” mediante azioni sperimentali, inventariare il patrimonio fondiario pubblico regolamentandone la concessione per utilità sociale.

La sperimentazione dovrebbe successivamente produrre, da parte delle agenzie regionali di sviluppo, delle istituzioni locali e delle rappresentanze sociali coinvolte, una capacità di “autovalutazione” dei risultati raggiunti e una continua ristrutturazione delle strategie e degli strumenti utilizzati. Inoltre, dovrebbe permettere di analizzare le pratiche di successo che si riscontrano nell’agricoltura sociale, la qual cosa significa comprendere quali progetti di futuro sono contenuti in quelle pratiche e se quelle “promesse” si possono ulteriormente articolare.

Per accompagnare l’azione delle Regioni, diffondere le “buone pratiche”, promuovere progetti di ricerca e formazione post-universitaria, andrebbe attivato un supporto tecnico a livello nazionale con il coinvolgimento dei Ministeri delle Politiche agricole, della Solidarietà sociale e della Sanità.

Per quanto riguarda i servizi di sviluppo, si tratta di superare la frammentazione che finora li caratterizza e adottare  un approccio sistemico, connettendoli sia alle attività di formazione e informazione, che a quelle di animazione e acquisizione di competenze per la definizione di strategie di sviluppo locale.

In sostanza, vanno organizzati interventi di supporto alla conoscenza integrando le attività volte a  creare l’innovazione (ricerca e sperimentazione) coi servizi per diffondere la conoscenza (informazione, formazione, consulenza).

Per l’agricoltura sociale i contenuti specifici delle attività consulenziali, da definire in modo flessibile e sperimentale, dovrebbero riguardare prioritariamente: 1) la capacità di negoziare con istituzioni socio-sanitarie e soggetti del terzo settore; 2) la conoscenza delle opportunità offerte dall’applicazione delle “terapie verdi”; 3) l’attitudine a recuperare saperi, tradizioni e identità in termini di auto-consapevolezza e in riferimento al “modo di produrre contadino”; 4) le nuove forme di aggregazione rese disponibili dalla legislazione nazionale.

4. Strumenti di aggregazione per lo sviluppo dell’agricoltura sociale

L’esigenza di mettere insieme diverse competenze nelle iniziative imprenditoriali, di stipulare contratti e convenzioni con la pubblica amministrazione per la fornitura di servizi e di collocare in modo organizzato i prodotti delle fattorie sociali sul mercato potrebbe essere soddisfatta promuovendo nuove forme di aggregazione.

Le fonti di queste nuove forme collettive si trovano nelle importanti novità contenute nel decreto legislativo n. 99 del 2004, che ha introdotto una nuova forma societaria, la società agricola, ma anche nella riforma del diritto societario, entrata in vigore dal 2004, e nelle semplificazioni introdotte con il decreto legislativo n. 102 del 2005 per le Organizzazioni di produttori.
In base alle nuove norme la società agricola può esercitare non solo le attività previste dall’art. 2135 del Codice civile per l’imprenditore agricolo, ma anche, in base al decreto legislativo 228/2001, tutta una serie di attività connesse, che vanno dalla trasformazione alla commercializzazione fino alla fornitura di servizi, compresi i servizi sociali. Nell’esercizio di queste attività l’impresa aggregata può usufruire delle agevolazioni fiscali, delle procedure burocratiche semplificate, degli specifici interventi di sostegno previsti per i coltivatori diretti. Le società agricole possono, infatti, assumere la qualifica di imprenditore agricolo professionale, con i relativi benefici, purché, se società di persone, almeno un socio e, se società di capitali, un amministratore siano imprenditori agricoli professionali (cioè dedichino almeno il 50% del loro tempo all’azienda e ricavino almeno il 50% del loro reddito da tale attività). Le società possono essere di persone (semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice); di capitali (per azioni, a responsabilità limitata, accomandita per azioni), cooperative (a mutualità prevalente o meno), consorzi (con attività esterna e interna).

L’aggregazione delle imprese può avvenire attraverso due modalità. La prima è quella che prevede forme di collaborazione, senza la perdita di identità, da parte delle singole imprese che decidono di adottare strategie comuni per l’utilizzo dei fattori produttivi o per singole fasi produttive o per l’accesso al mercato o, infine, per la condivisione di alcune idee imprenditoriali. La seconda modalità è quella che si concretizza nella nascita di un nuovo soggetto, senza ripercussioni sugli aspetti di carattere patrimoniale; si tratta di un’impresa di maggiori dimensioni che consente una migliore efficienza nell’utilizzo dei fattori produttivi e una maggiore redditività rispetto alle singole imprese aggregate.

Le opportunità offerte da questi nuovi strumenti di aggregazione sono numerosi. Essi consentono, infatti, una maggiore possibilità di accesso al credito, facilitando gli investimenti aziendali e le innovazioni tecnologiche e organizzative; un aumento della diversificazione delle produzioni e dei servizi; un incremento della redditività agricola, soprattutto nel caso della vendita diretta, in quanto il maggiore valore aggiunto viene trattenuto dalla componente agricola, a scapito degli operatori a valle della filiera.

Nella fase della sua creazione, ma anche successivamente nella gestione, l’impresa aggregata necessita di formazione del capitale umano e di supporto tecnico. La scelta di operare insieme implica, infatti, una dettagliata indagine delle caratteristiche strutturali dei soggetti coinvolti ed una verifica puntuale delle potenzialità delle strategie adottate, nonché un’attenzione particolare alla modalità di aggregazione individuata.     

5. La Rete delle Fattorie Sociali

Per mettere in relazione agricoltori e  soggetti del terzo settore e dell’economia civile e sollecitare un adeguamento delle politiche pubbliche, al fine di sperimentare nuovi modelli di welfare valorizzando le risorse rurali, è nata la Rete delle Fattorie Sociali. Essa è un’associazione di promozione sociale senza scopo di lucro a cui aderiscono tutti coloro – persone fisiche e persone giuridiche – che intendono sviluppare l’agricoltura sociale.

Attraverso il sito internet (www.fattoriesociali.com) la Rete è entrata in contatto con centinaia di agricoltori, operatori sociali, presidenti di cooperative, amministratori pubblici, studenti e persone impegnate nel volontariato, a cui abbiamo fornito materiale informativo e documentazione sull’agricoltura sociale.

Abbiamo partecipato negli ultimi mesi a decine di iniziative sull’agricoltura sociale, promosse da istituzioni  e organizzazioni agricole, e  avanzato proposte di azioni specifiche da prevedere nell’ambito delle misure dei programmi regionali di sviluppo rurale.

La Rete è parte integrante del Forum delle Fattorie Sociali della Provincia di Roma e del Comitato Dopo di Noi dei Castelli Romani, che aggrega associazioni e cooperative vivacizzate da familiari di persone con disabilità psichica e il cui scopo è la promozione di iniziative che assicurino prospettive di vita dignitosa per i loro congiunti.

Su nostra sollecitazione la Regione Lazio ha promosso un progetto sperimentale sulle attività e le terapie assistite da animali, affidandone l’elaborazione ad un gruppo di lavoro coordinato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana. Con detto progetto si intende affermare l’idea che le pratiche terapeutiche con l’ausilio degli animali costituiscono una disciplina scientifica e dunque vanno definite e realizzate con criteri validati in una logica interdisciplinare.

La Rete ha partecipato all’iniziativa dell’INEA relativamente alla predisposizione delle Linee guida “Promuovere la Responsabilità Sociale per le imprese agricole e agroalimentari”. Tale documento contiene un riferimento esplicito all’agricoltura sociale e tra gli esempi di azioni sul tema delle risorse umane sottolinea la funzione dell’agricoltura come fonte di benessere per fasce svantaggiate. L’INEA si è, inoltre, dichiarata disponibile ad inserire le “buone pratiche” di agricoltura sociale nel sito internet associato alle Linee guida tra i casi di successo di RSI nel sistema agroalimentare.

Abbiamo, infine, aderito alla proposta avanzata dall’ALPA di costituire lo Sportello informativo dell’agricoltura sociale, un progetto unitario aperto alle  organizzazioni che intendono rappresentare le aziende più disponibili a cogliere le opportunità derivanti dalla nuova realtà della campagna post-fordista.