La multifunzionalità dell'agricoltura:opportunità e strumenti d'intervento

Desidero ringraziare Marisa Paradisi e gli amici delle ACLI per avermi invitato a questa iniziativa dove possiamo parlare di un’esperienza che stiamo facendo nel nostro paese nell’ambito dell’agricoltura sociale e che si può inquadrare chiaramente nella multifunzionalità dell’agricoltura.

Il mio intervento verterà essenzialmente sui seguenti temi:

-         come l’agricoltura sociale si colloca nella multifunzionalità dell’agricoltura;

-         le fattorie sociali: cenni storici, numeri e definizioni;

-         come l’agricoltura sociale si colloca nelle nuove politiche di welfare e di sviluppo rurale;

-         quali sono le problematiche che ci troviamo ad affrontare in questa esperienza.

Una definizione di multifunzionalità che mi sembra possa racchiudere ciò che su questo tema da diversi anni si va dicendo in Europa e nel mondo possa essere questa: la multifunzionalità è l’insieme dei contributi che il settore agricolo può apportare al benessere della collettività e che la collettività stessa riconosce come propri dell’agricoltura.

Dunque, l’agricoltura  non svolge soltanto una funzione alimentare ma anche quella di produrre  beni “no food” e servizi: dalle bioenergie agli altri prodotti non alimentari; dalla funzione ricreativa, turistica e culturale fino alle nuove funzioni terapeutiche, di cura e di riabilitazione.

Penso che dobbiamo fare chiarezza su alcuni aspetti che emergono nel dibattito. Ad esempio, si tende ultimamente a mettere in contrapposizione il concetto di competitività con il concetto di multifunzionalità, mentre io penso che questi due concetti debbano essere coniugati assieme e non considerati come entità contrapposte. Forse anche il regolamento comunitario sullo sviluppo rurale induce a questo tipo equivoco quando distingue l’asse “competitività” dall’asse “tutela ambientale” e dall’altro asse “diversificazione dell’economia rurale e miglioramento della qualità della vita”, mentre invece bisognerebbe avere un approccio integrato.

L’altro dualismo da evitare è quello che contrappone le imprese per il mercato alle imprese diversificate, come se, da una parte, ci siano delle imprese “vere” da omologare ad una aggiornata “rivoluzione verde” e, dall’altra, delle false imprese. Se invece andiamo a vedere nel concreto, ci accorgiamo che sono proprio le imprese multifunzionali a costituire spesso i casi di successo. In realtà, penso che ci siano imprese in grado di inserirsi in filiere e in sistemi territoriali, laddove questi sistemi e queste filiere esistono, e imprese che non riescono a farlo da sole e, quindi, hanno bisogno di un forte intervento pubblico, soprattutto di un intervento volto ad organizzare strutture di servizio per far in modo che queste imprese possano collocarsi all’interno delle filiere e dei sistemi territoriali.

Un altro problema su cui si è tornati a discutere ultimamente è quello della dimensione fisica delle aziende. Credo che nella realtà di oggi, con questa nuova impostazione che dobbiamo dare allo sviluppo agricolo territoriale, la dimensione fisica sia una falso problema. I mercati locali, che sono costituiti essenzialmente da piccoli produttori, possono favorire, in termini di coesione, qualificazione, costruzione dell’immagine, le strategie di internazionalizzazione delle imprese. Queste, infatti, hanno sì bisogno di più grandi dimensioni economiche, ma hanno soprattutto la necessità di uno stretto rapporto con il territorio per fare in modo che quello specifico territorio non diventi uno dei tanti. Ecco allora  la grande funzione dei piccoli produttori, delle piccole imprese, che soltanto in una logica di sistema, insieme alle imprese di più grandi dimensioni, possono concorrere a strategie più ampie di internazionalizzazione.

Se così stanno le cose, l’agricoltura multifunzionale va vista come momento di coesione. Spesso si trascura questa funzione che può avere l’agricoltura soprattutto in una fase storica come la nostra che vede una modifica profonda delle politiche di intervento pubblico. Infatti, se la spesa sociale cala e il ruolo pubblico dell’economia si riduce, noi dobbiamo sapere che a farne per prime le spese sono le aree rurali, dove i servizi costano di più perché la popolazione è più rarefatta e ci sono persone più anziane. Noi, quindi, dobbiamo fare in modo che soprattutto partendo dalle aree rurali si possa pensare ad una riorganizzazione complessiva dello stato sociale.

Tuttavia, per far sì che l’agricoltura svolga una funzione di coesione sociale occorre diversificare le attività e fare sistema. Noi  abbiamo nel nostro paese agricolture e tipologie d’impresa sicuramente diverse; ma a questo problema noi dobbiamo rispondere così come rispondeva il Prof. Manlio  Rossi-Doria, citato prima da Marisa Paradisi: per diverse agricolture strumenti d’intervento diversi, ma all’interno di strategie integrate di sistema. Dunque, non strumenti diversi che vanno per conto proprio, ma che agiscano nell’ambito di una strategia integrata.

E vengo al tema dell’agricoltura sociale. Cos’è una fattoria sociale? E’ una qualsiasi struttura dove si conducono attività agricole in grado di generare benessere per fasce svantaggiate o minori in fase di formazione. Questa definizione dà il senso della molteplicità perché molteplici sono gli approcci: c’è quello dell’inclusione mediante l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate; c’è l’approccio della formazione attraverso percorsi educativi rivolti a minori; infine, c’è l’approccio della relazionalità mediante l’interazione tra operatori rurali (aziende agricole, strutture che sono situate nelle aree rurali) e residenti nei centri urbani con la possibilità di generare, utilizzando risorse rurali, tutta una serie di servizi di cura, di  riabilitazione e di benessere.

Perchè l’agricoltura più di altri settori può arrecare questi benefici? La ragione sta nel fatto che l’attività agricola si svolge all’aria aperta e permette l’interazione con organismi viventi. Inoltre, il rapporto con la produzione di cibo, il paesaggio, l’ambiente, la biodiversità, l’ospitalità sono tutti elementi che concorrono a determinare benessere per le persone svantaggiate.

Perché l’azienda  agricola è il luogo più appropriato per lo svolgimento delle funzioni di carattere sociale? Il motivo sta nel fatto che nell’impresa agricola è la natura a dettare i tempi, c’è una versatilità nell’ordinamento produttivo, c’è una varietà nelle tecniche di produzione. Tutto questo consente  di poter sperimentare una molteplicità di forme di inserimento e di riabilitazione e di creare spazi specifici inclusivi. Inoltre, la possibilità di organizzare la vendita diretta in azienda oppure nei mercatini o ancora rifornendo i cosiddetti “gruppi di acquisto solidale” alimenta l’autostima delle persone coinvolte perché i prodotti realizzati nell’azienda hanno immediatamente  un acquirente, un’altra persona che apprezza quei determinati prodotti.

Ed ora facciamo un po’ di storia. Il mondo rurale ha da sempre sviluppato forme di solidarietà e valori di reciprocità e gratuità. Basti pensare  ad esperienze come  lo scambio di manodopera, gli usi civici e le forme di utilizzo collettivo del bene terra, la bonifica e la difesa idraulica per toccare con mano come da sempre in agricoltura ci sono state forme di solidarietà e di mutuo aiuto. Inoltre, l’intreccio tra più dimensioni, da quella produttiva a quella relazionale con piante e animali, a quella familiare, ha permesso all’agricoltura di svolgere da sempre una funzione sociale. Nelle campagne una persona con un disagio psichico o fisico, ha trovato sempre un modo per collocarsi nella comunità. I manicomi nascono con la società industriale e con l’urbanesimo; nelle aree rurali invece vi è stata sempre una possibilità di integrazione.

Ma venendo a periodi più vicini a noi vediamo che le prime forme moderne di agricoltura sociale nascono in Italia a metà degli anni ’70 a seguito dei movimenti per la costituzione delle cooperative giovanili in agricoltura in applicazione di una legge emanata dai governi di solidarietà nazionale. Quei movimenti si intrecciano con le iniziative per la chiusura dei manicomi, che portano alla Legge Basaglia, e con la lotta alla tossicodipendenza fino alle iniziative di denuncia della condizione carceraria.

Queste prime forme si sono rivelate le risposte più efficaci al disagio sociale perché attraverso queste iniziative si sono consentiti percorsi di riabilitazione e inserimento lavorativo in grado di riconoscere dignità alle persone coinvolte e di tenere conto delle esigenze delle loro famiglie.

Quante sono le fattorie sociali in Italia?

Non c’è mai stata un’indagine completa. L’unico dato ufficiale è quello fornito dall’ISTAT nel 2003: 471 cooperative sociali di tipo B che svolgono attività agricole. Mediante le iniziative di animazione e coordinamento che stiamo attivando in quest’ultimo periodo siamo riusciti ad entrare in contatto con centinaia e centinaia di realtà che sono presenti in quasi tutte le regioni italiane. Negli altri paesi europei i numeri sono più o meno simili: in Norvegia ci sono 550 fattorie sociali; nei Paesi Bassi 700; in Austria 250; in Germania 150; nelle Fiandre 140.

L’esperienza più significativa è quella olandese con circa 700 fattorie sociali per lo più condotte  da agricoltori che attraverso la diversificazione delle attività aziendali forniscono servizi di carattere sociale.

Le fattorie sociali possono essere raggruppate sostanzialmente in due tipologie. La prima, quella  prevalente, è costituita dalle strutture socio-agricole che partendo dal sociale si sono dedicate all’attività agricola; stiamo parlando di imprese sociali, enti morali, associazioni e comunità. La seconda tipologia è quella dell’azienda agricola che declina la multifunzionalità con il sociale. In questa seconda tipologia possiamo distinguere:

-    l’azienda agri-sociale esplicita, che svolge l’attività sociale in modo consapevole;

-  l’azienda agri-sociale implicita, condotta da famiglie con componenti svantaggiati e verso la quale però  non è rivolto alcun riconoscimento  da parte delle strutture pubbliche per l’attività che in qualche modo viene realizzata a beneficio dei familiari con disagio.

Le azioni che si svolgono nelle fattorie sociali sono orientate prevalentemente a questi gruppi di persone:

-         bambini;

-         minori in difficoltà;

-         donne vittime di violenza;

-         persone con disabilità fisica o psichica;

-         anziani in difficoltà;

-         detenuti ed ex-detenuti;

-         persone con problemi di dipendenza;

-         persone che necessitano di un recupero delle proprie abilità e capacità.

Per quanto riguarda le politiche pubbliche, penso che dobbiamo sempre più tendere ad integrare le diverse politiche, come accennava prima il Sindaco di Todi, dalla pianificazione territoriale alla  programmazione economica e sociale. Va in sostanza promosso un intreccio tra strumenti urbanistici, politiche di programmazione economica e politiche di carattere sociale.

Se noi andiamo a vedere quali sono gli obiettivi della legge 328 sui servizi socio-assistenziali, notiamo che si fondano sulla valorizzazione delle risorse locali e del protagonismo civile, nonché sul superamento di schemi standardizzati per adottare invece una diversificazione di modelli di presa in carico, e nello stesso tempo si poggiano sempre più su forme gestionali di maggiore efficacia imprenditoriale. A ben vedere, questi obiettivi si possono benissimo sposare con alcuni obiettivi della politica di sviluppo rurale:

-         miglioramento della qualità della vita;

-         diversificazione delle attività economiche locali.

Purtroppo queste politiche non dialogano. E’ questo il problema di fondo da affrontare. Nella nostra cultura politica e ,quindi, anche nella pubblica amministrazione c’è il fatto che le politiche sociali, le politiche economiche e le politiche agricole vanno ciascuna per conto proprio.

Noi invece a livello locale dovremmo fare questo sforzo di integrazione delle politiche se vogliamo conseguire risultati concreti in termini di sviluppo delle aree rurali.

In primo luogo, va considerato che le diverse forme di agricoltura sociale sono reti di relazioni che possono contribuire alla capacità di attrazione e alla reputazione di un sistema locale. Tale apporto si realizza se si punta a rigenerare stili di vita propri dei territori rurali, a rivitalizzare valori che sono alla base della domanda di ruralità: accoglienza, dono, reciprocità, dialogo sociale.

Se noi pensiamo allo sviluppo rurale fondato esclusivamente sull’agriturismo o sui prodotti tipici, alla fine, esauritasi la moda della tipicità, rischiamo di ritrovarci con un pugno di mosche in mano. Senza far leva sui valori sociali dei territori rurali, a cui successivamente agganciare i valori dei prodotti tipici o dell’agriturismo, nel giro di pochi anni, si potrebbe andare incontro ad una dispersione delle potenzialità di sviluppo delle aree rurali, perché verrebbe a mancare il retroterra culturale su cui questi valori di scambio si poggiano. Rafforzando, invece, le reti di protezione sociale e valorizzando il capitale sociale accresciamo l’attrattività dei territori rurali e possiamo delineare meglio percorsi di sviluppo locale.

In secondo luogo, va considerato che l’agricoltura sociale può costituire una innovazione organizzativa vantaggiosa per tutti: per il servizio pubblico che risparmierebbe investimenti sulle strutture; per l’azienda agricola perché avrebbe la possibilità di valorizzare risorse aziendali inutilizzate; per i soggetti a bassa contrattualità perchè avrebbero la possibilità di una migliore inclusione sociale.

In tutto questo chiaramente è irrinunciabile la dimensione economica. Dobbiamo riflettere sul fatto  che i prodotti delle fattorie sociali hanno un ulteriore valore aggiunto che è dato dalla possibilità di incorporare anche valori etici. Oggi i prodotti cosiddetti “etici” incontrano il favore dei consumatori e perciò arrivano sui mercati in modo organizzato. La filiera dei prodotti del commercio equo e solidale, ad esempio, si sta organizzando. Esiste in Italia una quota di consumatori che va sempre più espandendosi, tra il 15÷20% del totale, e che possiamo definire consumatori consapevoli o critici: essi vanno alla ricerca di  prodotti dal contenuto etico. Questa è  una condizione vantaggiosa per sviluppare dal punto di vista economico l’agricoltura sociale. Così pure, come sottolineava il Sindaco di Todi, la ristorazione collettiva (mense scolastiche, mense ospedaliere, altre forme collettive di approvvigionamento di beni alimentari) potrebbero costituire un’opportunità per l’agricoltura sociale, qualora le strutture pubbliche preposte alla ristorazione collettiva valorizzassero nei bandi i prodotti delle fattorie sociali.

Si tratta quindi di pensare ad un modello di welfare fortemente intrecciato con percorsi di sviluppo locale in cui viene ribaltata l’impostazione attuale passando dalla mera fornitura di una prestazione alla centralità del soggetto beneficiario, il quale viene posto nella condizione di vedersi riconosciuta la dignità di persona, di poter sviluppare le proprie capacità e di espandere le proprie potenzialità verso obiettivi di maggiore emancipazione.

In definitiva, quali azioni pubbliche occorrerebbero per sviluppare l’agricoltura sociale? Dovremmo  puntare ad accrescere la consapevolezza delle potenzialità dell’agricoltura sociale; dovremmo  promuovere esperienze modello in alcune aree pilota; dovremmo fare i modo che i Comuni, le ASL, le Aziende ospedaliere possano riconoscere le prestazioni rese dalle fattorie sociali; dovremmo  acquisire ulteriori conoscenze e competenze con attività collegate alla ricerca e alla formazione, alle istituzioni universitarie che si stanno occupando da anni di questa materia, come l’Università della Tuscia. Il tutto ricordando sempre che la fattoria sociale non si può fare se non concorrono due elementi congiuntamente:

-   la predisposizione al dono di sé perché c’è bisogno sempre di una tensione etica dell’agricoltore e degli operatori che vogliono svolgere queste attività;

-   l’orientamento al mercato perché questo dà la garanzia della durevolezza dell’iniziativa,  un aspetto essenziale se vogliamo costruire progetti solidi in grado di corrispondere efficacemente ai bisogni della società.