Imprese agricole e manutenzione del territorio

Il vecchio patto sociale tra l’agricoltura e la società, assorbito nel Trattato di Roma e nelle politiche agricole nazionali degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, affidava al settore primario il ruolo di garantire il raggiungimento dell’obiettivo della sicurezza alimentare intesa, in termini quantitativi, come soluzione alla fame e alla sottonutrizione e quindi come strumento di autonomia politica (la Pac come strumento dell’Europa per non dover soggiacere a un eventuale ricatto alimentare).

Il travaso di risorse in prevalenza dai contribuenti e dai consumatori a beneficio del settore assumeva peraltro la funzione di parziale redistribuzione della ricchezza prodotta dallo sviluppo economico a vantaggio dei soggetti (gli agricoltori) e dei territori (le aree rurali) più penalizzati da una strategia i sviluppo concentrata sulla grande industria e sulla grande città.

Nella seconda metà degli anni ’80,  il Libro Verde di Delors "Il futuro del mondo rurale" ha posto per la prima volta in modo esplicito l’esigenza di rivedere quel patto sociale alla luce delle nuove condizioni  politiche, sociali ed economiche nel frattempo determinatesi in Europa e nel mondo. Da allora sono state avviate graduali e sempre più incisive riforme della Pac accompagnate da riflessioni, sul piano scientifico ed a livello politico e sociale, sulla nuova funzione sociale degli agricoltori e sulla ridefinizione di un nuovo patto sociale.

In gioco a livello europeo ci sono, da una parte, il 40 per cento del bilancio comunitario destinato alla Pac e, dall’altra, tutte le questioni che all’evoluzione dell’agricoltura sono interrelate: ambientale, sociale, territoriale, culturale, alimentare, sanitaria e tecnologica.

     1. La responsabilità verso le risorse

E’ in questo quadro che gli agricoltori hanno incominciato ad interrogarsi sulle responsabilità che devono assumersi per stabilire il nuovo patto sociale. Tra le diverse responsabilità figura in modo marcato quella verso le risorse che appartengono a tutti, che non sono infinite, che non sono riproducibili.

Ebbene, assumerci una responsabilità verso le risorse significa che alcuni temi, quali l’erosione del suolo, la scarsità dell’acqua, la perdita della biodiversità, non possono essere per noi dei fuori-tema o dei temi aggiuntivi, ma devono diventare: a) una variabile interna ai nuovi mestieri agricolo-rurali; b) una nuova condizione dell’autogoverno del territorio; c)una nuova concezione della ruralità come rivitalizzazione di valori.

a)      La sostenibilità ambientale come variabile interna ai nuovi mestieri agricolo-rurali

La manutenzione del territorio e la gestione della tutela ambientale sono funzioni pubbliche del tutto misurabili. Come tali possono essere riconosciute dall’intervento pubblico all’impresa agricolo-rurale. Ed agire anche come valore aggiunto ad attività di produzione di beni alimentari e di fornitura di servizi  remunerate dal mercato.

Si tratta di funzioni che diversificano le imprese insediate nelle aree rurali e operano a pieno titolo nell’ambito di strategie imprenditoriali della qualità legata al territorio. 

b)      La sostenibilità ambientale come nuova condizione dell’autogoverno del territorio

La manutenzione del territorio e la gestione della tutela ambientale sono funzioni pubbliche che hanno reso obsoleto il concetto di "bonifica".

Infatti, è in atto una difficile e ancora incompiuta transizione dei Consorzi di Bonifica verso una pluralità di compiti, quali la manutenzione dei corsi d’acqua e degli scoli, il riciclo ed uso plurimo delle acque, la difesa del suolo, la salvaguardia ambientale, che si presentano complessi e forieri di conflitti tra differenti interessi.

Noi potremo meglio difendere e rilanciare l’"autogoverno" del territorio  se dimostreremo senso di responsabilità e capacità gestionale, perseguendo trasparenza e innovazione. E se apriremo un dialogo con altri soggetti economici e sociali interessati a sistemi territoriali competitivi da realizzare unitamente ad un governo efficiente delle risorse ambientali.

E’ noto, peraltro, che in alcune realtà la contribuenza extragricola sta ormai superando quella del nostro mondo. E’, dunque, nell’interesse degli agricoltori ricercare alleati e favorire la partecipazione all’autogoverno da parte di quel mondo imprenditoriale che, come noi, utilizza le risorse naturali ed è disponibile a collaborare per una loro efficiente gestione. Anche in questo modo potremo più efficacemente difendere i Consorzi e rilanciare la loro insostituibile funzione. 

c)      La sostenibilità ambientale come rivitalizzazione dei valori della ruralità

Prima ancora che l’industria si appropriasse della problematica della "responsabilità sociale d’impresa" l’attività agricola è sempre stata associata a determinati valori etici: assicurare il benessere dei cittadini, agire in modo solidale, relazionarsi in base a criteri di reciprocità, risparmiare le risorse irriproducibili.

Si tratta di quei valori che caratterizzano le aree rurali e che, però, a seguito dei processi di urbanizzazione e di industrializzazione, si stanno erodendo. Tale prosciugamento sta ora mettendo  pericolosamente a repentaglio le potenzialità dei territori rurali di essere competitivi nelle nuove condizioni dell’economia postfordista.

Di qui l’importanza di avviare processi di rivitalizzazione dei valori che sottendono la tipicità e la ruralità. Non è affatto sufficiente la valorizzazione economica di un distretto rurale o agroalimentare di qualità per ottenere condizioni di sviluppo senza integrare in quel territorio processi economici, processi culturali e processi ecosistemici nella logica della "bio-regione". E’ proprio in ciò che il distretto in agricoltura si differenzia dal distretto industriale o dal distretto socio-sanitario.

     2. Per una nuova generazione di politiche agroalimentari

Se l’azione pubblica va rivolta al riconoscimento dei comportamenti responsabili delle imprese agricolo-rurali occorre una nuova generazione di politiche di sviluppo a livello europeo e a livello nazionale.

In Europa va perseguito con maggiore determinazione un approccio allo sviluppo di tipo integrato. Si tratta di integrare le diverse politiche regionali: lo sviluppo rurale non può continuare ad essere considerato in modo separato dalle politiche sociali, ambientali, energetiche, infrastrutturali e da quelle per la ricerca e l’innovazione.

In Italia va imposto un approccio-mondo al nostro sistema agroalimentare. E’ ormai evidente che mentre nuovi sistemi-paesi e la grande distribuzione estera vengono qui, noi (cioè logistica, trasporti, energia, ricerca, tecnologia; e prodotti agroalimentare, imprese) non siamo in grado di andare lì. Per andarci, infatti, dobbiamo darci una politica coerente.

Appare sempre più sbagliato un approccio volto a distinguere e separare una politica per l’agricoltura multifunzionale da una politica agroalimentare orientata al mondo.  Se l’intento è quello di esportare un sistema-paese dobbiamo fare in modo che si riproduca e si valorizzi un modello precipuo di responsabilità verso le risorse.

     3. Segnali di mutamento dell’approccio nella nuova Pac

Attualmente il sostegno alla gestione del territorio, all’interno degli interventi di  sviluppo rurale, è irrisorio ed è erogato in modo dispersivo e disorganico. Le misure che lo riguardano sono, infatti, molteplici: "silvicoltura" (o "altre misure forestali"); "miglioramento fondiario"; "gestione delle risorse idriche in agricoltura"; "sviluppo e miglioramento delle infrastrutture connesse con lo sviluppo dell’agricoltura"; "tutela dell’ambiente in relazione all’agricoltura, alla silvicoltura, alla conservazione delle risorse naturali, nonché al benessere degli animali"; "imboschimento delle superfici agricole". Dal momento che le Regioni tendono generalmente a spalmare le risorse finanziarie su tutte le misure in modo indifferenziato, gli interventi che si realizzano sono per lo più di scarsa entità. Nonostante le sollecitazioni non si è ottenuta una maggiore concentrazione di risorse su determinate misure per la gestione del territorio.

Un impulso a migliorare la situazione potrà venire dalla programmazione 2007-2013. Infatti, il nuovo regolamento sul sostegno dello sviluppo rurale prevede che sia assicurato all’asse tematico "ambiente e gestione dello spazio rurale" il 25 per cento del finanziamento complessivo, comprendendo anche le iniziative di sviluppo rurale legate ai siti Natura 2000.

Per quanto concerne, invece, l’integrazione delle istanze ambientali nella PAC, già a partire dalla fine degli anni Novanta, si era proposto il cosiddetto sostegno condizionato (o condizionalità). Tale scelta ha determinato una proliferazione di svariati "livelli di riferimento": "Requisiti minimi", "Buone Pratiche Agricole", "Criteri Obbligatori di Gestione", "Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali" e "Buone Pratiche Zootecniche". Da un lato questa pluralità di "livelli di riferimento" consente di graduare e finalizzare meglio gli interventi, dall’altro rischia di generare confusione tra gli operatori e notevoli complicazioni gestionali per le autorità amministrative.

Adesso la riforma di medio termine ha rafforzato le misure agroambientali già esistenti ed ha stabilito che gli agricoltori che beneficiano dei pagamenti diretti debbano rispettare alcuni "criteri di gestione obbligatori" ed impegnarsi anche "a mantenere la terra in buone condizioni agronomiche e ambientali". Pertanto,  i "livelli di riferimento" si ampliano ulteriormente ed alcuni, operanti nel primo e nel secondo pilastro, si sovrappongono.

Ma non vi è dubbio che muta la qualità dell’approccio. Si passa, in sostanza, da una politica di "tutela dell’ambiente" tout court ad una più ampia politica di "gestione della tutela dell’ambiente".  Se consideriamo che in Italia la superficie che sarà soggetta alla condizionalità dovrebbe attestarsi intorno agli 11-12 milioni di ettari e che finora le misure agroambientali hanno interessato solo 3 milioni di ettari e  con uno scarso legame alla gestione del suolo, si comprende la valenza strategica di tale innovazione, ma anche la sua complessità.

Pertanto, diventa necessario costruire sinergie tra i vari settori dell’amministrazione coinvolti, adeguare le scelte di programmazione attuate nell’ambito dei POR e PSR, armonizzare a livello nazionale gli standard minimi ambientali per evitare disparità di trattamento, razionalizzare i controlli e promuovere la sussidiarietà orizzontale.

Tra le misure per lo sviluppo rurale, è stato opportunamente introdotto un sostegno alla consulenza aziendale. Esso è finalizzato non solo ad accelerare l’adeguamento delle imprese alle norme obbligatorie, ma anche a fare in modo che le stesse si conformino "ad un’agricoltura moderna e di alto livello qualitativo". Tale misura va considerata, dunque, come un’occasione da non mancare per riorganizzare e rilanciare il sistema dei servizi alle imprese, per farne centri propulsivi della multifunzionalità in collegamento con la ricerca e la sperimentazione.

     4. La modalità contrattuale tra pubblico e privato

La modalità contrattuale tra pubblico e privato è quella che meglio si attaglia ad un agire economico delle imprese agricolo-rurali fortemente impegnate sul fronte della responsabilità. 

     a)      La legge sulla montagna

Nelle aree montane esiste già una esperienza consolidata, vigendo dal 1994 una norma (art. 17 della legge n. 97) che prevede la possibilità di appaltare lavori di manutenzione del territorio agli agricoltori. E che, in caso di scambio di servizi tra soci di una stessa associazione, fa scattare i benefici fiscali. Si tratta della prima enunciazione dell’impresa agricola di servizi che, successivamente, coi decreti di orientamento  trova il suo compimento. Significative sono state le esperienze che in questi anni si sono realizzate nei rilievi in virtù di questa legislazione antesignana, pur tra le difficoltà dovute alla mancanza di coordinamento delle norme.

E’ ora all’esame della Camera la proposta di legge La Loggia, volta a rinnovare la normativa sulla montagna. Essa conferma i contenuti dell’art. 17 della legge attuale con le modifiche apportate successivamente, adeguando il limite dei lavori che si possono affidare agli agricoltori da 50 milioni di lire a 75 mila euro. 

b)      La legge di orientamento agricolo

Ma è la legge di orientamento agricolo ad  introdurre fin dal 2001 una nuova normativa che finalmente riconosce anche all’impresa agricola la capacità di produrre quel mix di beni e servizi che caratterizza le imprese di tutti i settori economici. Inoltre, ha previsto la possibilità di individuare i distretti rurali e agroalimentari di qualità ed ha messo a disposizione dei sistemi locali strumenti amministrativi – come i contratti di promozione e di collaborazione, nonché le convenzioni con gli operatori agricoli – per realizzare la modalità distrettuale.

Coi nuovi strumenti pattizi tra pubblico e privato si potranno ricucire meglio le fasi frantumate dei processi produttivi e le attività di servizio; remunerarle se non lo fa il mercato. E si potrà superare l’inefficacia dei provvedimenti imperativi e unilaterali nel perseguimento di finalità di interesse generale. A tale proposito, va segnalato che si aprono nuove prospettive anche in campo urbanistico, perché gli impegni assunti contrattualmente dai soggetti privati possono diventare il criterio regolatore nelle scelte di localizzazione all’interno delle aree rurali e la leva più efficace per integrare, salvaguardare e valorizzare le risorse naturali.

Tali innovazioni si sono inizialmente rivelate di difficile applicazione per la mancanza di coordinamento con le norme previdenziali, assicurative e fiscali. E il ritardo dovrebbe farci riflettere se davvero sia conveniente rimanere in regimi normativi speciali o individuare nuovi strumenti selettivi di sostegno della competitività delle imprese simili a quelli operanti in altri settori.

Con le modifiche apportate nella Finanziaria 2004 al regime fiscale delle imprese agricole per le attività di servizio i contratti e le convenzioni tra la pubblica amministrazione e gli agricoltori sono ora operativi. Bisognerà esaminare ancora solo alcuni aspetti particolari, quali l’esigenza di adeguare i criteri di omologazione delle macchine agricole finora utilizzate esclusivamente per le attività aziendali ed ora utilizzabili all’esterno, la normativa delle agevolazioni sui carburanti, la regolazione dei rapporti di lavoro.

c)      Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Lombardia

La Regione Lombardia è stata tra le prime a recepire nella propria legislazione le novità dei decreti di orientamento. Ed ha definito, nell’ambito dei criteri e delle procedure per la concessione di contributi finalizzati ai regimi di aiuti, quali le "misure forestali" e le "sistemazioni idrauliche forestali", le forme di coinvolgimento delle aziende agricole.

Esse, infatti, si possono attivare secondo due modalità: 1) indirettamente, come affidatarie di lavori pubblici; 2) direttamente, in qualità di beneficiarie di contributi, in particolare in quanto concessionarie a titolo gratuito di terreni di proprietà pubblica. Per quanto riguarda la prima modalità, la circolare regionale fornisce alle amministrazioni pubbliche gli indirizzi a cui attenersi ai fini dell’affidamento dei lavori e mette a disposizione degli enti pubblici che intendono avvalersi di imprese agricole la modulistica necessaria. Per quanto concerne, invece, la seconda modalità, viene definita la procedura da adottare nel caso in cui un’impresa agricola, in assenza di un contratto d’affitto o di una concessione temporanea a titolo gratuito dei terreni di proprietà pubblica, intenda eseguire interventi selvicolturali finalizzati a miglioramenti ambientali e paesaggistici su proprietà pubbliche.

d)      I contratti tra Consorzi di Bonifica e agricoltori

Naturalmente, anche i Consorzi di Bonifica, annoverati a pieno titolo tra le "pubbliche amministrazioni", possono stipulare "in deroga alle norme vigenti" contratti di appalto con gli imprenditori agricoli per affidare ad essi lavori che rientrano nelle proprie competenze. Attraverso la derogabilità, si può  realizzare, infatti, quella "flessibilità" della disciplina, necessaria per renderla adeguata alle esigenze specifiche delle singole opere che si intendono affidare alle imprese agricole.

E’ dall’ottobre 2001 che l’ANBI ha predisposto uno schema di contratto che si può adattare ai diversi casi che si possono presentare. Se l’opera che si intende affidare è di una certa complessità tecnica, sarà necessaria la progettazione vera e propria; se, invece, il lavoro consiste ad esempio nello sfalcio di erbe, sarà sufficiente una semplice perizia. Ancora. Di fronte ad un lavoro di importo significativo si potrà procedere ai pagamenti attraverso stati di avanzamento; per un lavoro semplice e di importo modesto il pagamento potrà avvenire a consuntivo. Inoltre, se il lavoro è di importo considerevole si potrà chiedere la cauzione definitiva nella misura del 10 per cento; mentre se l’importo è di lieve entità sarà opportuno rinunciare alla cauzione. Infine, se il lavoro, per le modalità di esecuzione, può presentare rischi di danni a terzi, il Consorzio potrà richiedere la polizza assicurativa; a tale polizza specifica potrà rinunciare se l’impresa è già in possesso di una polizza a copertura generale dei rischi a terzi; nessuna polizza sarà da richiedere se il rischio dei danni a terzi è insussistente e  irrilevante.

Pertanto, è rimesso al prudente apprezzamento dei Consorzi valutare di volta in volta, a seconda della rilevanza tecnica ed economica del lavoro, nonché delle modalità di esecuzione dello stesso, se procedere o meno a progettazione, se richiedere cauzione, polizza assicurativa, se pagare per stati di avanzamento o a consuntivo.

La sperimentazione di detto contratto ha dato esito positivo in diverse Regioni e non sono state segnalate particolari difficoltà nell’adozione di tale strumento. Tant’è che nella legislazione regionale sulla bonifica, prodotta negli ultimi anni, si è recepita la nuova strumentazione, dandole un più forte valore giuridico. Ad esempio, la legge regionale della Regione Calabria, approvata nel luglio 2003, prevede espressamente all’art. 19 che "i Consorzi possono stipulare convenzioni, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 15 del decreto legislativo n. 228/2001, con gli imprenditori agricoli, di cui all’art. 2135 c.c., iscritti al Registro delle Imprese, in particolare per realizzare attività ed opere di tutela e conservazione delle opere di bonifica e del territorio". In tal modo, i Consorzi non solo contribuiscono a rafforzare la multifunzionalità delle imprese agricole, ma accrescono la loro rilegittimazione nei confronti dei consorziati.

e)      Le Aree Protette

Anche gli enti parco possono stipulare contratti con gli agricoltori che operano nelle aree protette per affidare loro compiti specifici di tutela ambientale e di promozione della biodiversità. Lo prevede espressamente il Protocollo di Intesa tra le Organizzazioni agricole, la Federparchi e la Legambiente, sottoscritto lo scorso anno. Il contratto-tipo elaborato dall’ANBI potrebbe essere preso come riferimento e adattato alla realtà delle aree protette.

f)       La nuova società in agricoltura

Infine, nella logica negoziale tra pubblico e privato si potrebbero annoverare anche le potenzialità dello strumento societario agricolo introdotto ultimamente nell’ordinamento. Il Decreto Legislativo 99/2004 ha previsto la possibilità per una società di persone, di capitali o cooperativa, che abbia al suo interno la presenza di almeno un imprenditore agricolo professionale, di godere di tutti i benefici previsti per questa figura. Un recentissimo decreto allenta ulteriormente i vincoli. Si tratta di un’opportunità dagli innumerevoli sviluppi: giovani e anziani, operanti in aziende agricole distinte, che potrebbero unirsi in una forma societaria per realizzare quelle attività che l’imprenditore anziano ha meno propensione a svolgere; comuni ed altri enti locali che potrebbero apportare terreni di proprietà pubblica in aziende agricole, entrando direttamente nella compagine societaria e garantendo in questo modo le finalità dell’impresa a cui si dà vita. Ecco un modo concreto per integrare territori diversi, vincere distanze fisiche e culturali che ancora appaiono insuperabili, trovare nuove occasioni per l’accesso al capitale fondiario.

Ecco come  favorire la collaborazione tra giovani che partono da una condizione di svantaggio e anziani a cui si apre la prospettiva di continuare a valorizzare non solo i terreni che possiedono, ma anche il proprio "saper fare".  Ecco come l’utilizzo produttivo dei terreni pubblici nell’ambito di programmi di sviluppo locale potrà trovare in tal modo nuove possibilità di realizzazione.