E dopo di noi?
Il Progetto delle Fattorie
Sociali può essere una delle risposte alla domanda "…E dopo di noi?
cosa accadrà alle persone
disabili quando noi familiari non saremo più in grado di provvedere a loro?".
Il Progetto è un percorso che permette alle comunità
locali di prendersi carico delle persone svantaggiate quando le famiglie non
saranno più nelle condizioni di farlo.
Un itinerario concreto e attuabile, da intraprendere adesso
"durante noi" per garantire l’autonomia possibile.
Esistono già realtà
organizzate
Queste realtà avranno un futuro se le esperienze si moltiplicheranno e
diventeranno una modalità dello sviluppo locale.
Il Forum delle Fattorie
Sociali della Provincia ha questa ambizione.
Il Progetto potrà realizzarsi se la Regione Lazio saprà proporre ai
sistemi territoriali un "patto per l’innovazione del welfare", da
fondare su progetti integrati per attingere a più programmi di intervento e
sulla valorizzazione di tutte le risorse locali.
E il "patto" potrà nascere se tutti i soggetti coinvolti,
dalle istituzioni al mondo produttivo, dalle famiglie alla variegata galassia
del terzo settore, troveranno convenienze e opportunità intorno agli obiettivi
di crescita e di coesione sociale.
Un nuovo welfare si
concretizzerà se conseguiremo due obiettivi:
1) rafforzare nelle aree rurali le reti di
protezione sociale, le cui carenze sono la principale causa della fragilità
di questi territori;
2) ricostituire quel rapporto virtuoso tra le aree
rurali e le città, che i recenti processi di urbanizzazione hanno spezzato.
Una metropoli come Roma e le
città della nostra provincia non potranno mai soddisfare pienamente i nuovi
bisogni sociali, se non si apriranno ad un fecondo rapporto con le potenzialità
delle aree rurali.
E viceversa, l’agricoltura
difficilmente potrà ricollocarsi nel nuovo scenario globale se non si
attrezzerà in forme moderne per rispondere ai nuovi bisogni sociali della
collettività sia rurale che urbana.
Ma questa nuova domanda e
questa nuova offerta di beni e servizi potranno incontrarsi se si sperimenterà
un nuovo modello di welfare.
Quello che esiste oggi ha un
carattere riparativo degli squilibri prodotti dall’economia fordista ed
è concepito esclusivamente per i contesti urbani in una logica di concentrazione
dei servizi e degli interventi.
Esso si è rivelato inadatto
alle realtà delle campagne. E si sta manifestando del tutto insufficiente anche
nelle città a causa della scarsità delle risorse di cui può disporre.
Si può ipotizzare un modello
di welfare di tipo rigenerativo?
Penso di sì. Si tratta di
rivitalizzare quei valori di solidarietà, mutuo aiuto, reciprocità, che hanno
storicamente identificato le aree rurali.
La loro dispersione potrebbe segnare in modo irreversibile il declino di tali territori, perché la sola valorizzazione economica non è sufficiente a garantire il loro sviluppo.
E’
necessario rigenerare le risorse rurali, rivitalizzarne l’autenticità, per
soddisfare i bisogni reciproci che legano città e campagne.
Le aree rurali non diventeranno
mai competitive se si affideranno solo alla tipicità, senza riprodurre i valori
etici, culturali, umani, che la sottendono, e senza riattivare in forme moderne
la peculiarità delle relazioni interpersonali.
Da queste considerazioni
nasce il Progetto delle fattorie sociali, con cui l’agricoltura intende
farsi carico delle nuove esigenze delle aree rurali ed urbane.
E facciano questo – ecco la
loro peculiarità – in modo integrato con l’offerta di servizi culturali,
educativi, assistenziali, formativi e occupazionali a vantaggio di soggetti
deboli, in collaborazione con le istituzioni pubbliche.
Qui la valorizzazione
commerciale dei prodotti potrà avvenire sia mediante la vendita diretta in
azienda, sia rifornendo i gruppi di acquisto solidale che stanno nascendo nelle
città, sia mediante l’etichettatura etica.
Le loro attività
assistenziali si potranno estendere alla cura degli anziani che non sono
più autosufficienti, prevedendo soggiorni periodici che potrebbero coincidere
con le visite scolastiche, e dar luogo a forme organizzate di trasmissione
delle esperienze delle generazioni più mature ai ragazzi.
Si potranno insediare asili
nido, ludoteche. Si installeranno servizi internet e postali, punti vendita di
libri, giornali e materiale multimediale, sportelli di enti ed associazioni,
soprattutto nei piccoli centri dispersi dove queste attività non sono
economicamente sostenibili se svolte in via principale.
La fattoria sociale, in
definitiva, è tale se diventa un centro
di servizi sociali, un momento di aggregazione dove la comunità
potrà ritrovarsi, nelle più svariate iniziative, da quelle culturali a quelle
ricreative e turistiche.
Il territorio
della
provincia di Roma ha enormi potenzialità.
Nel nuovo contesto
post-fordista, infatti, le dimensioni ridotte delle imprese, il peso
significativo assunto dalle imprese al femminile, la diffusione del part-time finalmente non sono più considerate fattori
di arretratezza, come una visione industrialista dell’agricoltura ha preteso in
passato.
Ma diventano punti di forza
da giocare in una riorganizzazione moderna delle campagne, basata sulle
economie di scopo e la valorizzazione del capitale sociale.
Ebbene, su circa 60 mila aziende agricole presenti nella provincia di Roma, quelle con meno di un ettaro sono 34 mila. Quelle condotte da donne sono il 32 per cento.
Le aziende insediate su proprietà pubbliche
rappresentano il 25 per cento della superficie agricola utilizzabile.
Si tratta
di 72.500 ettari, il 60 per cento dei quali appartiene ai Comuni.
Un altro dato di un certo
rilievo è quello relativo alle abitazioni rurali. Su un totale di circa 23
mila abitazioni presenti nelle aziende agricole, il 23 % non sono
occupate.
E le imprese che praticano
l’agriturismo sono poco più di un centinaio.
L’entità delle risorse
disponibilì è tale che se venisse favorita l’integrazione delle politiche di
sviluppo
rurale, quelle della ricerca, formative e di trasferimento delle innovazioni
tecnologiche, con le politiche socio-sanitarie e assistenziali, sarebbe
possibile sperimentare un nuovo modello di welfare di tipo locale.
Si tratta di inserire nel Piano
di Sviluppo Rurale apposite misure di intervento, tra quelle destinate alla
"diversificazione delle aziende" ed alla "formazione", a sostegno delle
attività svolte dalle fattorie sociali.
Per quanto riguarda la misura relativa ai "servizi essenziali alla
popolazione e all’economia rurale",
andrebbero contemplati anche quelli rivolti alle persone svantaggiate
mediante l’utilizzo delle risorse agricole.
L’attuazione della legge
328 sui servizi alla persona,
mediante l’elaborazione dei "piani sociali di zona", è il passo decisivo per
costruire progetti integrati di sviluppo economico-sociale territoriale.
Ma c’è anche un’ulteriore
novità da cogliere: la possibilità per una società che abbia al suo
interno la presenza di almeno un imprenditore agricolo professionale, di godere
di tutti i benefici previsti per questa figura.
Si tratta di un’opportunità notevole: cooperative che potrebbero assumere la configurazione agricola
aprendosi agli agricoltori; operatori sociali e imprenditori che potrebbero dar
vita a società agricole; giovani e anziani che potrebbero unirsi in una forma
societaria per realizzare quelle attività che l’ anziano ha meno propensione a
svolgere; comuni ed altri enti, come le Ipab, che potrebbero apportare terreni
pubblici in fattorie sociali, entrando nella società e garantendo così le
finalità dell’impresa; fattorie sociali che potrebbero mettersi in società con
gestori di punti vendita o ristoro nei centri urbani e ricercare insieme le
forme per valorizzare i propri prodotti.
Ecco un modo concreto
per integrare territori diversi, trovare nuove occasioni per l’accesso al capitale fondiario.
Il
"Dopo di noi" va
collocato in questo contesto se vogliamo garantire davvero un futuro alle
persone disabili e rispondere concretamente alle aspettative delle loro
famiglie.