Un partito riformista europeo da radicare nel territorio

Siamo giunti a questo congresso con la decisione formale assunta dai congressi di federazione di presentare la lista unitaria alle prossime elezioni regionali. E’ un ulteriore pilastro che si aggiunge all’edificio della Federazione dell’Ulivo come momento di passaggio verso il partito riformista.

Sono consapevole che tale prospettiva non è esplicitamente dichiarata nella mozione di Fassino, ma non è nemmeno esclusa. E dunque, il congresso dovrebbe approfondirla per evitare il rischio, sempre più concreto in questi giorni, che passi una lettura meramente tattica della Federazione.

Il  progetto di costruire un partito riformista dalle ambizioni maggioritarie non ha alternative se l’obiettivo del centrosinistra è quello di non  solo vincere le elezioni ma anche di governare il paese.

Chi pensa, infatti, che la prospettiva possa essere quella di costruire il grande partito socialista coltiva un’idea che ha fatto il suo tempo. Vi sono stati momenti, negli anni scorsi, in cui si poteva  realizzare questo obiettivo, ma si è trattato di occasioni mancate. La sinistra italiana si è colpevolmente sottratta nei tempi in cui era ragionevole investire in tale direzione. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Perseguire adesso tale prospettiva significherebbe realizzare una ulteriore aggregazione a carattere minoritario e dunque non risolutiva del problema di fondo del centrosinistra italiana: l’assenza di una forza in grado di esprimere una funzione di guida di un’alternativa di governo.

Ora è il tempo di realizzare la casa comune dei riformisti italiani e di sollecitare il partito del socialismo europeo ad aprirsi per consentire alle diverse famiglie riformiste dell’Occidente di partecipare all’opera di rinnovamento dei principi generali a cui dovrebbe attenersi una moderna sinistra liberale. Se ci daremo un soggetto politico  caratterizzato da una chiara impronta riformista, il confronto programmatico con la sinistra radicale potrà produrre compromessi trasparenti e non stravolgimenti che renderebbero complicata e irta di ostacoli l’azione di governo. Solo nella chiarezza, infatti,  si potrà finalmente fare buona politica che regga all’usura dell’opposizione giorno per giorno, e soprattutto del governo, quando ci arriveremo.

L’atto fondamentale da compiere subito è la formale costituzione della Federazione con l’elezione di Prodi a presidente della stessa. Senza questo atto non ha senso parlare dell’alleanza più larga del centrosinistra e di primarie. Ci siamo, infatti, impelagati in una confusa discussione, del tutto incomprensibile all’opinione pubblica, perché abbiamo invertito l’ordine naturale di priorità dei diversi pezzi del progetto politico.,Se non poniamo prima la Federazione alla base del progetto e poi diamo vita all’Alleanza democratica, ma invertiamo l’ordine di costruzione, l’edificio inevitabilmente è destinato a cadere.  La coalizione più larga si regge con una leadership legittimata (e Prodi potrà esserlo se assume l’incarico di presidente della Federazione) e con una proposta di programma, unitariamente e democraticamente elaborata dai riformisti e aperta al confronto con Rifondazione. Ecco perché nella discussione di questi giorni il vero problema non è Bertinotti, ma la Federazione, che deve diventare la nostra priorità nei prossimi giorni. E’ davvero sorprendente che dopo aver proposto le primarie al resto della coalizione, siamo noi stessi a chiedere  ora  a Bertinotti di rinunciare alla candidatura. Come è paradossale rispondere alla sfida delle primarie fregiandoci del marchio del socialismo europeo, quando la risposta per battere Bertinotti dovrebbe essere un’altra: quella di evidenziare ancor di più una cultura riformista rinnovata dei Ds e dell’Ulivo.

Queste situazioni paradossali si creano quando l’ispirazione unitaria che guida la nostra comunicazione politica viene usata più come clava per sottrarre consensi ai nostri alleati riottosi, più come retorica propagandistica, che come crescita culturale e tensione politica per animare il nostro lavoro concreto. L’ispirazione unitaria dovrebbe sostenerci non solo nelle campagne elettorali ma anche nel  costruire una nuova cultura politica e nel far crescere una classe dirigente rinnovata. L’ispirazione unitaria dovrebbe consentirci di dare finalmente sbocco a quella lunghissima transizione apertasi negli anni ’80 con la crisi del vecchio sistema politico.

Solo così potremo consentire ai cittadini che vogliono impegnarsi nella preparazione dell’offerta politica di decidere sui programmi e sui candidati e, successivamente, una volta al governo, di partecipare al monitoraggio dell’attuazione dei programmi. Se vogliamo realizzare concretamente il progetto della Federazione è necessario articolarla nel territorio, nei comuni, nei quartieri, nei municipi di Roma. Le sue sedi non possono essere concepite come oggi sono le nostre sezioni: luoghi della militanza, mentre le scelte vengono assunte fuori dal partito. A livello delle istituzioni territoriali occorrerebbe costituire anche i gruppi unici riformisti.

Alla Federazione, inoltre, andrebbe affidato il compito di investire in modo stabile nella formazione politica, per fondere le diverse matrici culturali e fornire ai giovani che stanno crescendo nel territorio strumenti e competenze per maturare come  moderna classe dirigente.

Oggi si può fare buona politica se si individuano bene gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo per poterli eliminare: mancanza di mobilità sociale, scarsa competitività del sistema-paese e dei sistemi territoriali, carente capacità di esportare i nostri prodotti rispetto agli altri paesi. Oggi si può fare buona politica se sapremo trovare risposte efficaci, ispirate ai nostri valori, ma compatibili con il contesto di scarsità di risorse della finanza pubblica. Oggi  si può fare buona politica se sapremo considerare l’investimento pubblico in ricerca e formazione di capitale umano e scientifico centrale nelle politiche di sviluppo e di rafforzamento e innovazione delle reti e delle infrastrutture strategiche, se le politiche sociali diventano parte integrante delle politiche di sviluppo, se la qualità sociale diventa fattore competitivo dei sistemi territoriali, se  le imprese e i cittadini saranno orientati a “far da sé ma non da soli”, se si realizza una forte integrazione tra lo sviluppo della città di Roma e l’intero territorio laziale, se si favorisce un patto tra le generazioni che reimposti lo stato sociale, se si  consente anche ad un giovane lavoratore atipico di accendere un mutuo, di avere una casa in affitto, di pagarsi i contributi previdenziali, se una società multiculturale come la nostra si fonda su un contratto di riconoscimento reciproco tra comunità ospitanti e comunità ospitate.

Per fare politiche territoriali efficaci dobbiamo puntare con forza sull’"economia civile", intesa come versione rafforzata delle teorie sulla responsabilità sociale dell’impresa, come intervento dei poteri pubblici per indirizzare e irrobustire i poteri autoregolativi di cui il mercato ha bisogno, come sistema trasparente di ruoli e funzioni chiari, distinti e complementari, dei soggetti pubblici e degli interessi diffusi.

Se vogliamo davvero costruire politiche innovative di tale portata, è necessario strutturare la Federazione, a cui i partiti dovrebbero cedere la sovranità su queste tematiche, in modo  completamente diverso dall’articolazione del nostro partito, che oggi vede nettamente separata la nostra iniziativa nella città di Roma da quella che si svolge nel resto del territorio della Provincia e ancor più nella  Regione. Questa separazione produce una difficoltà nel dotarci di un chiaro quadro entro cui collocare la nostra elaborazione programmatica e l’iniziativa politica concreta. E dunque contribuisce a renderci estranei ai processi di sviluppo.

In conclusione, la costruzione della Federazione come primo atto per giungere al partito riformista deve porsi l’obiettivo di rendere efficaci le sedi di decisione e scorrevoli i flussi tra i diversi livelli territoriali. Solo in tal modo i riformisti saranno protagonisti nell’ambito dei rapporti che la società organizzata intrattiene coi pubblici poteri e si potrà  restituire alla politica la capacità di accompagnare in modo consapevole il cambiamento.