Caro Vincenzo,
Quando l’altra sera siamo rimasti soli e ci siamo
parlati, non tanto con le parole quanto invece con gli sguardi, ho letto nei
tuoi occhi la serenità d’animo di chi ha fatto il proprio dovere, di chi ha
vissuto una vita piena, di chi si è fatto guidare dal rigore morale nel corso
di tutta la propria esistenza.
Ma ho letto anche quel tocco di inquietudine, che
soprattutto in questi ultimi anni manifestavi, ed a cui mi ero abituato incontrandoti e ascoltandoti quando parlavi
delle grandi questioni che influenzano la vita delle persone.
Nei tuoi occhi ho letto l’assillo di lasciare un
messaggio chiaro a noi più giovani perché guardassimo in grande ai problemi
della modernità.
Tu eri fatto così, Vincenzo. Non ti accontentavi di
vedere le cose in superficie. Volevi approfondire. Ponevi interrogativi.
Tentavi, tra tanti dubbi, di darti delle risposte.
Andavi con la memoria alle cose che avevi letto, per
ancorare i tuoi pensieri a qualcosa di solido, ad autorità intellettuali e
morali che avevi incontrato nel tuo percorso di autodidatta. E sapevi ascoltare
i nostri argomenti per ribattere e confutare meglio le tesi che non
condividevi.
Due questioni maggiormente ti tormentavano: la terra e i
giovani.
Quando enunciavi il tema della terra – e lo facevi sempre
in ogni occasione sia che si trattasse di un congresso, o di un convegno o di
una semplice riunione – in molti pensavamo che ci avresti parlato della riforma
agraria, dei contratti, insomma di cose vecchie e superate. E invece già alle
prime battute capivamo che ti assillava un tema di grande attualità: la
salvaguardia del territorio, la sua manutenzione. Citavi enunciazioni che
prendevi da rapporti internazionali, percentuali e dati statistici che trovavi
nelle tue letture ,per concludere immancabilmente con l’appello a cambiare.
Noi ti ascoltavamo estasiati, perché comprendevamo che ci
stavi dicendo cose su cui avevi a lungo meditato.
“E’ disonesto – dicevi – andare avanti nella stessa
maniera di fronte ai limiti fisici del pianeta, di fronte ai rendimenti
decrescenti delle tecnologie, di fronte alle crisi delle crescite economiche,
di fronte all’ambiente compromesso, di fronte all’aumento della popolazione”. E
indicavi subito il rimedio: “l’agricoltura dovrebbe tornare ad essere la grande
determinante se vogliamo mantenere l’equilibrio che oggi si rompe continuamente
nel mondo”.
Quando denunciavi i pericoli per l’umanità derivanti
dalla distruzione delle risorse, non indugiavi mai nel catastrofismo. Avevi
chiaro che la società odierna è la società del rischio. Ma la tua era sempre
una visione positiva, tesa a risolvere i problemi, facendo leva sulle
opportunità di sviluppo. Ed era una visione globale che riguardava sia i paesi
ricchi che i paesi poveri, sia le aree urbanizzate che le aree rurali.
Quante discussioni abbiamo fatto sull’esigenza di un
governo del territorio e di un uso ecocompatibile delle risorse naturali. Ed eri molto attento alle novità degli
ultimi anni: lo sviluppo rurale, la multifunzionalità dell’agricoltura, la
risorsa acqua come elemento strategico per assicurare la pace nel mondo.
In questo contesto ponevi il tema del possesso della
terra. Ho sempre in mente alcuni paragoni fulminanti che buttavi lì,
all’improvviso, nei tuoi discorsi. “Perché – ti chiedevi - il ferroviere per
svolgere la sua attività non si deve comprare il treno, il medico non si compra
l’ospedale ed il marinaio la nave, mentre l’agricoltore deve per forza
comprarsi la terra? E così ci facevi riflettere, ci inducevi a guardare le cose
da un’altra ottica e ci costringevi a seguirti lungo linee di pensiero desuete.
Qui stava la tua modernità.
E poi il tema dei giovani. Affermavi spesso con orgoglio:
“Io passo il mio tempo anche a contatto coi giovani ed è la cosa più bella che
sto vivendo”. Quando parlavi dei giovani ti crucciavi per le condizioni non
proprio efficienti in cui versano la scuola e le attività formative. Eri
consapevole che determinante per lo sviluppo è l’accesso più ampio possibile
alla conoscenza.
Eri convinto che lo sviluppo coincide con la libertà e
che la libertà cresce coi diritti, l’istruzione, la ricerca scientifica.
Ho sempre vivido il ricordo del nostro primo incontro a
casa tua. Mi mostrasti con orgoglio le diverse bottiglie di vino, che tu
producevi, con l’etichetta scritta a mano. Ma ben presto mi portasti presso lo
scaffale dove erano i tuoi libri. Fra le tante opere facevano bella mostra
quelle di Antonio Gramsci, Emilio Sereni, Claudio Napoleoni. Sfogliando i tuoi
libri, mi accorsi che erano pieni di sottolineature, appunti, rimandi. Segni
evidenti di studi meticolosi.
In tal modo
compresi il carattere della tua poliedrica cultura, fatta di saperi contadini e
alimentata da letture dei classici del pensiero economico e politico. Da qui
una concezione del ruolo dell’agricoltura del tutto originale, che ti ponevano
all’avanguardia anche rispetto all’elaborazione della stessa nostra
organizzazione
Negli ultimi tempi, esprimevi giudizi molto severi nei
nostri confronti.
Denunciavi il
fatto che parlavamo poco con gli agricoltori. Tu avevi alle spalle esperienze
di lotte e di movimenti di grande respiro, dall’azione condotta dalla
Confederterra, successivamente dall’Associazione dei Vitivinicoltori dei
Castelli romani e poi dall’Alleanza dei Contadini.
Ti vantavi di essere il più vecchio amministratore della
più grande cantina di Velletri. E,
dunque, conoscevi i termini sia delle grandi questioni teoriche, che dei
problemi minuti e quotidiani dei produttori.
Eri un dirigente a tutto tondo. E noi facevamo fatica a
starti dietro, perché con difficoltà oggi riusciamo a coniugare capacità di
elaborazione politica e competenze tecniche e specialistiche.
Appartenevi a quella generazione di dirigenti che è stata
protagonista della grande transizione da una società prevalentemente agricola
ad una prevalentemente industriale.
Ed eri
perfettamente consapevole delle innovazioni che tale processo aveva prodotto,
ma anche delle contraddizioni che l’evoluzione repentina dei contadini in
moderni imprenditori aveva provocato.
Mi hanno sempre colpito l’affettuosa dolcezza e l’amore
appassionato per Lidia, tua moglie. Tu eri dolce e delicato con tutti noi. Ma a
Lidia non riservavi solo i sentimenti di uno sposo innamorato.
In lei vedevi raffigurata in modo emblematico la funzione
decisiva che hanno svolto le donne contadine nella grande trasformazione della
società, la loro concezione prammatica della condizione umana, la duttilità nel
cogliere e sperimentare il nuovo.
Ti portavi dentro la consapevolezza che senza le donne,
senza l’altra metà del cielo, non
sarebbero stati possibili i cambiamenti che si sono verificati. E per questo
sentivi forte il bisogno di tributare una profonda gratitudine, che trasfondevi
in Lidia.
Da qui derivavano anche la tua attenzione alle tematiche
dei diritti civili e della parità di genere,
l’importanza che tu attribuivi ai mutamenti sociali e culturali e
l’impegno che tu profondevi per l’ulteriore progresso delle campagne.
Ho avuto il privilegio in questi anni di approfondire con
te un sodalizio straordinario. Mi hai fatto comprendere che nell’attività
politica e sindacale sono fondamentali i rapporti che si costruiscono con le
persone, il tempo che va dedicato alle relazioni umane, la reciprocità e lo
spirito di collaborazione che vanno esaltati su tutto il resto.
Mi hai insegnato che il confronto non è una perdita di
tempo, ma è l’anima di una società che vuole crescere.
Io ti sono molto grato, Vincenzo, di questa tua
disponibilità, di cui non mi sono avvalso come avrei voluto.
Ti esprimo la gratitudine di tutta la Confederazione
Italiana Agricoltori, che ti ha avuto tra i suoi dirigenti più prestigiosi. Ci
mancheranno i tuoi discorsi sempre approfonditi e pertinenti, il tratto gentile
e discreto con cui partecipavi agli incontri, il sorriso che risplendeva sempre
nel tuo volto.
Non so come mitigare il dolore di Lidia e dei tuoi figli
Giorgio, Roberto e Bruno. Ad essi
vorrei soltanto dire che assumiamo l’impegno che il tuo insegnamento
continuerà a guidare i nostri passi e le attività della tua e nostra Organizzazione.
Ciao Vincenzo, noi cercheremo di fare del nostro
meglio per esserti degni.