Ruralità metropolitana e inclusione sociale

Cosa fare per integrare le funzioni delle aree agricole con quelle delle aree verdi che saranno acquisite al patrimonio pubblico mediante lo strumento delle compensazioni?

A questa domanda si può rispondere correttamente se abbiamo chiaro cosa si aspettano i cittadini. Negli ultimi tempi essi sono interessati a ricostituire un rapporto con l’agricoltura, ma con quella reale. Sono, infatti, un po’ stufi dei surrogati, dagli assaggi di prodotti tipici o biologici nelle piazze cittadine alle fattorie-museo aperte ai visitatori in qualche giardino pubblico.

La maggioranza dei romani pensa che la vera agricoltura sia solo quella che si può ammirare in Toscana o nelle Marche. Non immagina affatto che potrebbe trovarla appena a ridosso delle periferie della propria città. Perché non la vede? E’ in verità una cecità psicologica: tra i quartieri di Roma e l’Agro Romano si è prodotta nel Novecento una frattura socio-culturale a causa di una distorta crescita urbanistica e di una considerazione residuale delle aree verdi.

Per ricostituire, dunque, legami che si sono sfilacciati, bisognerebbe innescare processi di sviluppo ecocompatibile, integrare funzioni, far emergere un’agricoltura che produce beni e servizi in modo imprenditoriale.

Non è una cosa facile, perché si tratta non solo di suscitare una capacità di rispondere alla  nuova domanda dei cittadini, producendo beni e servizi personalizzati. Ma soprattutto di riacquisire nell’idea che ciascuno di noi si è fatta di Roma anche il valore della Campagna Romana. Come Firenze e Siena sono presenti nell’immaginario collettivo con le loro colline circostanti, anche Roma dovrà creare, nelle condizioni tecnologiche che la modernità offre, un nuovo amalgama tra il Cupolone, il Colosseo e i tanti casali che  costellano il suo territorio. Ci vuole una mobilitazione di storici, architetti, economisti, sociologi, scrittori, poeti, registi, medici per fornire le basi culturali ad una ricucitura di relazioni che una urbanizzazione aggressiva ha bruscamente interrotto.

I nuovi spazi verdi che verranno acquisiti dal Comune dovranno diventare centri attrezzati dove elaborare questa nuova ruralità. Ecco perché dovranno essere i Municipi i livelli istituzionali dove esprimere una capacità progettuale partecipata, utilizzando strumenti pattizi e adottando le flessibilità normative , come i piani particolareggiati per le aree verdi, al fine di realizzare concretamente gli obiettivi condivisi.

La nuova ruralità in una metropoli come Roma si può affermare se si valorizzano le sue aree agricole. Purtroppo, il nuovo piano regolatore non ha implementato il sistema agricolo e ambientale di contenuti progettuali finalizzati ad una strategia di valorizzazione. La programmazione degli assetti ottimali si concretizza attraverso il piano ambientale di miglioramento agricolo (PAMA) azienda per azienda, senza proporre una prospettiva complessiva per un dato ambito territoriale, soprattutto come opportunità per far confluire risorse e professionalità non solo private ma anche pubbliche.

Sarebbe utile introdurre strumenti volti al raggiungimento di assetti ottimali in ambiti territoriali, cogliendo le opportunità offerte dalla politica europea di sviluppo rurale e dalla “legge di orientamento”, che ha introdotto i “distretti rurali” , i contratti di promozione e di collaborazione, nonché le convenzioni tra pubblica amministrazione e imprese agricole.

Attraverso la stipula di atti negoziali si potranno realizzare programmi di riforestazione a scopo energetico e la riqualificazione di ecosistemi acquatici per ridurre il rischio idraulico e aumentare la capacità del territorio di “autodepurare” gli inquinanti veicolati dalle acque. Svariate sono le opportunità che le aree agricole e il sistema dei parchi possono offrire per soddisfare le nuove esigenze dei cittadini.

Se diamo un rapido sguardo alla storia dell’Agro Romano, vediamo che esso ha svolto sempre una preminente funzione sociale nei confronti del tessuto urbano. Esiste un’attitudine consolidata delle aree rurali a fornire beni relazionali. Qui i rapporti interpersonali sono stati sempre improntati a criteri di reciprocità e di mutuo aiuto.

Ebbene, l’Agro Romano è il luogo più idoneo per soddisfare una domanda di servizi sociali, che vanno dalla cura degli anziani non autosufficienti ai servizi di integrazione e accoglienza ai disabili fisici e mentali, nonché di recupero degli ex tossicodipendenti e dei  detenuti.

Le aziende agricole possono erogare servizi alle persone e alle famiglie integrando cura delle risorse ambientali, uso di attrezzature aziendali e valorizzazione di tradizioni e mestieri rurali. Esse andrebbero coinvolte nei progetti per generare spazi di accoglienza e di attività manuali (orticoltura, giardinaggio), ma anche per preparare pasti con valenze salutistiche o che rispettino ricettari tradizionali. Integrando poi tali servizi con quelli didattici, si potrebbe favorire lo scambio di esperienze tra generazioni.

Si tratta di predisporre progetti che integrano processi di sviluppo e percorsi di inclusione sociale. E’ il modo per mantenere quei caratteri di autenticità, distintività, alta responsabilità sociale delle attività agricole. In mancanza di tali caratteri, l’affidamento delle potenzialità di sviluppo delle aree agricole periurbane solo alla tipicità dei prodotti e all’agriturismo (che sono beni posizionali e non relazionali) porterebbe ad una dispersione di capitale sociale, ad una banalizzazione della specificità rurale di tale territorio e, dunque, ad una perdita della sua capacità d’attrazione.

E’ per questo motivo che gli interventi di inclusione sociale nell’ambito delle dinamiche di sviluppo integrato territoriale assumono il carattere di interventi propulsivi, che promuovono la crescita economica, favoriscono la competitività dei diversi territori e riproducono quel capitale sociale, che è, a ben vedere, la condizione primaria per preservare le risorse ambientali.