Federterra: un secolo di progresso nelle campagne

La Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra) nacque a Bologna il 23 novembre 1901. Vi aderirono 735 leghe del Nord con 142 mila iscritti e 23 leghe del Centro-Sud con 10 mila associati. L'anno successivo erano già 220mila. Nel primo dopoguerra 900mila. E nel secondo dopoguerra un milione e mezzo. Si chiamava Confederterra ed era all'interno della Cgil, di cui rappresentava un terzo degli iscritti. In quel primo congresso di fondazione, il dibattito fu alquanto animato. Bisognava costituire un'organizzazione prettamente bracciantile, oppure aperta anche ai ceti intermedi, ai mezzadri, affittuari, compartecipanti, coloni e piccoli proprietari coltivatori? Socialisti riformisti, sindacalisti rivoluzionari e repubblicani si scontrarono accanitamente sulla base delle rispettive impostazioni ideologiche.

Alla fine, prevalse la soluzione unitaria, con l'impegno a costituire due sezioni distinte, ma a patto che tutti operassero per la socializzazione della terra. Una parola d'ordine in contrasto con le aspirazioni dei coltivatori. E i repubblicani, perciò, se ne andarono. Ma quella indicazione generale restò come una contraddizione insanabile, con fatica lasciata sullo sfondo affinché non influisse più di tanto nell'azione pratica. Sicché le associazioni esclusivamente bracciantili continuarono ad espandersi nelle province di Mantova, Ferrara, Piacenza, oltre alla Bassa Veronese, la Lomellina e la zona risicola piemontese. Mentre la forma mista continuò a prevalere nel ravennate e nel reggiano.

Nell'Italia centrale le leghe erano prevalentemente mezzadrili, concentrate per lo più nelle province di Siena e di Perugia. E infine nel Sud, con punte alte in Puglia e in Sicilia, le leghe erano organizzate nella forma di aggregazione territoriale di tutte le figure sociali presenti in ciascun centro urbano. E continuarono a mantenere una relativa autonomia.

Un tratto originale era presente, invece, un po' ovunque: la partecipazione numerosa e combattiva delle donne alla costruzione del movimento nelle campagne. Ed erano diffuse anche le leghe femminili, come risposta al tentativo di utilizzare il successo delle lotte per la parificazione salariale al fine di espellere le donne dal mercato del lavoro, eliminando la convenienza alla loro assunzione. E sarà una donna, Argentina Altobelli, qualche anno dopo, ad essere eletta segretaria nazionale della Federterra, caso unico nel panorama del movimento sindacale europeo dell'epoca.

La nascita della Federterra fu un evento importante, per il carattere unitario e nazionale dell'iniziativa e per l'ampiezza del ventaglio delle figure sociali coinvolte. Il movimento che di lì prese avvio ha costituito una grande peculiarità nello scenario europeo. In altri paesi, infatti, le cose stavano diversamente. Se si esclude l'Andalusia, che fu teatro di azioni sindacali significative per un lungo periodo, in nessun'altra regione d'Europa si svilupparono forme di organizzazione contadina stabili e di una certa rilevanza.

Nel nostro Paese il movimento nelle campagne ha un'origine complessa. Vi erano l'insoddisfazione per gli esiti del Risorgimento e le modalità in cui si era realizzata l'unità della nazione, nonché la coscienza di antichi diritti conculcati, che s'identificava nella questione demaniale. Il brigantaggio meridionale fu l'evento che vide esplodere questa inquietudine. Ma questa covava anche nell'area padana, dove le grandi trasformazioni economiche e sociali avevano creato un malessere esteso nelle campagne, che s'intrecciava con ansie ed aspirazioni di riscatto coltivate in secoli di soggezione. In tale quadro, presero piede tra il 1884 e il 1885 le agitazioni della "boje" nel Nord e, un decennio dopo, di nuovo nel Mezzogiorno, le lotte dei Fasci siciliani.

Nel frattempo, s'intensificarono i fenomeni migratori, che erano sempre esistiti nella società rurale, legati a mestieri e ad attività particolari. Ma ora erano centinaia di migliaia i veneti, i piemontesi e i lombardi che partivano per le "fazendas" del Brasile e dell'Argentina, nell'ambito di una gigantesca dilatazione del mercato del lavoro. Solo successivamente l'emigrazione interessò il Sud, e diventò uno degli aspetti vitali della società rurale meridionale. Prima verso l'Argentina e poi verso gli Stati Uniti, con partenze e ritorni continui. E fu la Federterra, più degli altri sindacati di categoria, a svolgere una funzione di tutela e di assistenza a favore degli emigranti, persino con accordi di sindacalizzazione coi paesi stranieri.

È in questo clima di grandi sommovimenti che nacquero le leghe e le cooperative, come forme moderne d'organizzazione, in cui soggetti portatori di valori antichi diventavano protagonisti di pratiche quotidiane di democrazia, inventori di regole collettive per una convivenza che non era facile. L'Associazione Operai Braccianti di Ravenna poté così svolgere opere di bonifica ad Ostia. E questo pullulare di iniziative di sopravvivenza si intrecciò con la nascita del movimento socialista italiano, unico ad avere basi rurali nel panorama europeo.<

Nel febbraio 1908 fu costituita la Federazione nazionale delle cooperative agricole, strettamente collegata alla Federterra, e, perciò, anch'essa con sede a Bologna. Era il frutto, appunto, dell'infittirsi di quella rete di istituzioni e di rapporti tra enti locali, leghe, sezioni socialiste, cooperative e attività di controllo sindacale del collocamento.

Con il Convegno di Bologna del gennaio 1913 sulla mezzadria, la Federterra si orientò a considerare tale contratto più un rapporto di lavoro che un finto patto societario. E quell'indicazione è stata alla base delle grandi lotte mezzadrili del primo e del secondo dopoguerra, nel tentativo di migliorare le condizioni contrattuali dei mezzadri, nonché della conseguente espansione organizzativa nell'Italia centrale. Ma costituì anche un grave limite, perché sottovalutava il carattere feudale di quel contratto, la sua incompatibilità con un'agricoltura moderna. La mezzadria aveva svolto una funzione positiva nei secoli precedenti, soprattutto di manutenzione ambientale della collina. Ma in un quadro di sostanziale soggezione delle famiglie mezzadrili. In ogni caso, quelle lotte, al di là dei limiti, hanno avuto un forte valore simbolico di incrinatura profonda dei vecchi assetti gerarchici della società rurale.

Anche nel Mezzogiorno si raggiunsero obiettivi di crescita non trascurabili, con forme di lotta originali, come lo "sciopero alla rovescia", cioè l'imposizione di lavoro non voluto dal proprietario di cui si chiedeva il pagamento, oppure con l'occupazione delle terre. Qui l'intreccio tra le antiche forme di relazione con quelle nuove e gli aspetti esistenziali, prima ancora che economici, della condizione di precarietà dei contadini incisero fortemente sui modelli organizzativi e di lotta, che assunsero necessariamente connotati diversi e spesso non compresi dal resto del movimento.

La fame di terra veniva da lontano, da quando i Francesi nel 1806 fecero la legge di eversione dalla feudalità; ma i demani pur promessi ai contadini non furono assegnati a loro. Così i beni ecclesiastici confiscati dopo l'Unità d'Italia andarono in altre mani. E non solo si sentirono ingannati ma perdettero anche gli usi civici. Anche nel primo dopoguerra, nonostante che, all'indomani di Caporetto, il governo avesse lanciato la parola d'ordine "la terra ai contadini", rimasero delusi. Sono questi i motivi che li spingevano, in più occasioni, ad occupare le terre che erano appartenute al demanio. E continuarono a farlo anche nei primi anni del secondo dopoguerra, quando le lotte raggiunsero un'estensione tale da diventare movimento di popolo per la Costituente della terra e per la Rinascita del Mezzogiorno. Conquistarono così la riforma agraria e gli incentivi alla formazione della proprietà contadina e videro nascere la Cassa per il Mezzogiorno, provvedimenti che di lì a poco avrebbero contribuito a modificare radicalmente gli assetti del Meridione.

Perché i contadini si ostinavano ad occupare gli antichi demani? Essi in realtà si rendevano conto di essere troppi e che spesso i terreni occupati avevano una scarsa produttività, ma erano mossi più che dalla fame di terra da un accresciuto desiderio di fuggire da essa. E, perciò, volevano sfruttarla a fondo per poter poi emigrare. Come, difatti, faranno in molti, appena qualche anno dopo l'assegnazione della quota da parte degli enti di riforma. Resteranno solo laddove, appena arriverà l'acqua irrigua, potranno mettere su delle imprese efficienti.

Nel secondo dopoguerra, la Confederterra aggregava la Federbraccianti, la Federmezzadri e l'Associazione nazionale dei coltivatori diretti. Accanto a quest'ultima, nascono, nel 1951, l'Associazione dei contadini del Mezzogiorno e, successivamente, l'Unione coltivatori siciliani, l'Unione dei contadini e pastori sardi e, poi, il Comitato nazionale di coordinamento tra le Associazioni autonome degli assegnatari della riforma. Nel maggio del 1955 tutte queste organizzazioni, insieme al settore cooperativo agricolo della Lega, decidono di dar vita all'Alleanza nazionale dei contadini. Dalla nuova organizzazione, all'ultimo momento, rimangono però fuori le cooperative agricole, malgrado la loro presenza nel comitato promotore. Nell'anno successivo, infatti, verrà costituita l'Associazione nazionale delle cooperative agricole.

Con quella prima aggregazione, l'Alleanza poté radicarsi nelle campagne italiane. Ed essenziale fu l'elaborazione dello Statuto dell'impresa e della famiglia contadina, in cui i temi dell'evoluzione delle strutture agricole, della riforma dei contratti agrari e dell'affermazione dei diritti sociali venivano concepiti avendo per la prima volta al centro l'imprenditore coltivatore quale soggetto protagonista.

Tuttavia, pesò negativamente il ritardo con cui si dette vita ad un'organizzazione di coltivatori autonoma dalla Confederterra. La Coldiretti, d'altro canto, era già operante dal giugno del 1944, sganciata dal sindacato dei lavoratori dipendenti. La qualità di tale scelta aveva agevolato quell'organizzazione nell'acquisizione dei consensi e delle adesioni nelle campagne italiane. Poteva, infatti, rispondere con maggiore efficacia alle specifiche esigenze di rappresentanza e tutela degli interessi dei coltivatori, ai quali aveva conferito pari dignità rispetto alle altre categorie.

Un ulteriore limite fu la permanenza della Federmezzadri nel movimento sindacale. Ciò dipendeva dal fatto che si continuava a considerare la mezzadria più un contratto di lavoro che un residuo feudale da abolire. Solo nel 1977 la CGIL vi pone rimedio, autorizzando l'organizzazione mezzadrile ad uscire dal sindacato e partecipare con l'Alleanza e l'Unione dei coltivatori italiani alla Costituente di una nuova ed unitaria organizzazione professionale agricola, fondata sull'autonomia dai governi, dai partiti e dai sindacati e proiettata alla ricerca dell'unità con le altre organizzazioni professionali del settore. Nasce così la Confcoltivatori, che assumerà successivamente la denominazione di Confederazione italiana agricoltori (Cia). E la prima conquista significativa è la trasformazione della mezzadria in affitto nel 1982.

Alla fine degli anni '80 anche la Federbraccianti modificherà il proprio assetto organizzativo, dando vita con gli alimentaristi della CGIL alla Federazione lavoratori agro-industria italiani (Flai).

La storia della Federterra e delle organizzazioni che sono germogliate da quel tronco si può così dividere in due fasi. La prima va dalle origini fino ai primi anni del secondo dopoguerra ed è caratterizzata dal tentativo di dare rappresentanza e forma organizzata all'insieme delle forze sociali delle campagne nell'ambito del movimento sindacale. La seconda fase si apre quando la sinistra prende coscienza del diritto dei coltivatori, proprietari e non, di essere rappresentati autonomamente dai lavoratori dipendenti e considerati protagonisti, con pari dignità, della vita democratica del Paese.

Tale acquisizione si ha solo con la nascita della Confcoltivatori nel 1977, ma il confronto politico e l'azione per conseguire quel risultato si erano avviati nei primi anni dopo la Liberazione.

Oggi tutti vedono come al Tavolo agricolo-alimentare presso la Presidenza del Consiglio siedono in modo distinto la Cia, che rappresenta gli imprenditori agricoli, la Flai, che tutela gli interessi dei lavoratori dell'agricoltura e dell'agro-industria, e l'Anca-Lega che dà voce alle cooperative agricole e agroalimentari; ma è poco nota la lunga vicenda che ha portato all'odierna articolazione delle rappresentanze, all'autonomia politica e culturale dei rispettivi progetti ed all'allentarsi progressivo dei legami di ciascuna di queste organizzazioni dalle forze politiche della sinistra. Assumendo i connotati di moderne organizzazioni di rappresentanza, esse hanno potuto contribuire all'evoluzione dell'agricoltura italiana, che si colloca tra le prime in Europa.

In questi ultimi anni l'agricoltura è sempre più proiettata oltre gli antichi confini delle sue funzioni tradizionali, lo sviluppo territoriale è diventato strategico per vincere la sfida della globalizzazione, sicurezza ambientale e sicurezza alimentare sono i nuovi obiettivi delle politiche agricole. Il tema della rappresentanza ha bisogno di nuove e più avanzate risposte.

E' stato il grande limite della Federterra quello di aver tenuto insieme categorie sociali che avevano interessi e aspirazioni divaricate, ma è stato in gran parte suo il merito di aver promosso, agli albori del secolo scorso, l'ingresso dei lavoratori e dei coltivatori che vivevano nelle campagne nella storia politica e sociale del Paese e, successivamente, di aver contribuito, con altre forze diverse per ispirazione ideale e politica, a creare le condizioni perché l'insieme dei contadini, dai braccianti ai mezzadri, dai coloni ai coltivatori, partecipassero alla lotta di Liberazione ed alla costruzione della democrazia repubblicana.

Questa funzione esaltante la Federterra la esercitò nel contesto di profonde trasformazioni che si erano già avviate a ridosso delle grandi inchieste agrarie. Erano nate, infatti, già intorno al 1870, le Scuole superiori di agricoltura e, successivamente, quelle istituzioni - dalle stazioni sperimentali alle cattedre ambulanti, dai consorzi di difesa dalle malattie ai centri sementieri e vivaistici o di selezione animale, dalle casse rurali alle mutue bestiame, dagli organismi cooperativi ai consorzi di bonifica - che si erano tradotte in "intelligenza pubblica" dei bisogni dell'economia e in capacità di realizzazione di grandi opere pubbliche, come la bonifica e la viabilità, su strada e su rotaia. E tutto ciò è da ascrivere a merito dei governi post-risorgimentali.

Quel progresso tecnico era entrato, però, in contraddizione con la struttura sociale. La risicoltura veniva abbandonata ed al posto delle risaie si creavano prati e pascoli che richiedevano solo poche giornate di lavoro. A questa evoluzione rispondevano le associazioni di resistenza e le strutture economiche volte a riorganizzare il settore agricolo.

Sorgono poi i Consorzi agrari e la loro Federazione nazionale nel 1892 a Piacenza. Accanto alle affittanze collettive, edificate per impulso della Lega delle cooperative, ed alle Fratellanze coloniche di ispirazione repubblicana, si sviluppa anche la cooperazione cattolica, per lo più impegnata nel credito, nelle assicurazioni, nella trasformazione dei prodotti agricoli e nel consumo dei beni occorrenti a fini produttivi. Appoggiandosi a questa rete associativa, si costituiscono le leghe "bianche", che daranno vita nel 1916 alla Federazione nazionale mezzadri e piccoli proprietari e alla Federazione italiana dei lavoratori agricoli, due dei nuclei principali sui quali, tre anni dopo, sarebbe sorto il Partito popolare.

D'altro canto, per iniziativa d'ispirazione governativa, nacque nel giugno 1895 la Società italiana degli agricoltori, con funzioni prevalentemente lobbistiche. Ma solo nel 1920 sarà costituita la Confederazione generale dell'agricoltura (Confagricoltura), con le funzioni proprie di un'organizzazione di rappresentanza di interessi.

E', perciò, la Federterra a porre per prima nelle campagne italiane il problema della legittimazione della rappresentanza sociale e della conseguente rottura del rigido principio dell'autorità unica dello Stato liberale. E fu Giolitti - ministro dell'Interno nel Gabinetto Zanardelli - ad aprire il dialogo tra le istituzioni e le organizzazioni sociali, nella prospettiva di uno sviluppo capitalistico razionale e moderno. Si avviò, pertanto, il tentativo di realizzare quel "patto sociale" che avrebbe potuto avvicinare l'Italia alle democrazie che stavano alla testa del rinnovamento economico e sociale dell'Europa. Il voto a suffragio universale per l'elettorato maschile fu una tappa fondamentale. Ma il progetto giolittiano incontra molte difficoltà sulla sua strada.

Tuttavia, il percorso era segnato. E quando sopraggiunge il fascismo, le organizzazioni agricole sono cancellate o assorbite all'interno del regime e alcune conquiste sono annullate; ma al momento dell'insurrezione i contadini saranno pronti a ribellarsi, per ricostruire su basi nuove la democrazia e riprendere, così, le lotte per il proprio riscatto.

Molti parteciperanno direttamente all'epopea partigiana, altri diserteranno o compiranno atti per danneggiare i tedeschi, centinaia di migliaia di famiglie contadine contribuiranno alla Resistenza tacendo, sottraendo i raccolti agli ammassi, nascondendo e nutrendo i ribelli nelle proprie case e consentendo ad essi di superare il duro inverno del 1944. Anche nel Mezzogiorno, in contemporanea con le quattro giornate di Napoli, insorgerà Matera ed in molti centri rurali esploderà l'ostilità al fascismo che si era accumulata negli anni precedenti. L'assillo, in ogni parte del Paese, sarà quello di eliminare l'ostacolo che impediva da vent'anni il percorso avviato in quella fredda giornata di novembre del 1901, quando a Bologna era nata la Federterra.



 da “MondOperaio” n. 2/Marzo-Aprile2002